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Forse o probabilmente

Scrivere un articolo di giornale è tenere presente che abbiamo di fronte una persona che ci leggerà. Come incuriosirla? Come spingerla a leggerci?

Scrivere un articolo di giornale non è semplice, ma per riuscirci è necessaria la semplicità. Periodi brevi, subordinate rare, punteggiatura essenziale e, soprattutto, parole semplici e, se possibile, brevi. Subito un esempio: meglio scrivere forse anziché probabilmente. Ed è meglio evitare l’uso di avverbi capaci di divorare l’intera riga di testo: conseguentemente è un mattone da penna rossa, se proprio non ne possiamo fare a meno scriviamo di conseguenza. E ancora: evitiamo le citazioni e andiamoci molto cauti con le altre lingue. Anche in questo caso, un esempio ci aiuterà a essere più chiari: ”In vino veritas” è proverbio latino di uso e conoscenza così universali che se lo scriviamo siamo sicuri di essere capiti da tutti, ma se scriviamo “Pacta sunt servanda” in quanti ci capiranno? Discorso a parte meritano la lingua inglese e le sue continue infiltrazioni nella lingua italiana, parlata e scritta. Goccia a goccia, l’idioma di Albione sta erodendo l’italiano e i nostri giornali ne sono la dimostrazione più evidente: spy story, shock, shopping, pressing e authority sono tutti termini inglesi che giovedì 16 ottobre campeggiano nei titoli delle prime quattro pagine di Repubblica, uno dei principali quotidiani nazionali (titoli delle prime quattro pagine! Quale sarà il totale delle parole inglesi presenti nei titoli e nei testi di tutte le 96 pagine del giornale?). È davvero indispensabile ricorrere alla lingua di Shakespeare? Di sicuro è molto di moda e soprattutto comodo. Tra le cinque parole usate da Repubblica solo shock rientra nella categoria delle insostituibili, negli altri quattro casi si poteva tranquillamente saccheggiare l’italiano che di norma offre un più ampio bagaglio di soluzioni. Ma l’inglese semplifica e trova spazio anche in ambiti differenti da quello giornalistico: pensate che il questionario sul gradimento delle prestazioni offerte al pubblico in ambito sanitario si chiama in tutta Italia “Customer satisfaction”. Ve la immaginate la casalinga di Perloz che si vede consegnare un foglio così intestato? Tanto inglese, ma anche tanto sport: pressing, forcing, outsider, stopper, stretching sono entrati nell’uso comune e trovano posto dappertutto, articoli di giornale compresi. Usiamole, ma con parsimonia e se possiamo scegliere un’alternativa italiana è molto meglio. E non dimentichiamo che scrivere in modo semplice non significa soffocare la fantasia, anzi. Il bravo giornalista esprime i concetti più difficili attraverso le parole di uso comune, lo dimostrano molte tra le firme più celebrate del paese. Un esempio? Il compianto Gaetano Scardocchia, corrispondente da New York per i principali quotidiani nazionali e direttore de La Stampa tra l’86 e il ’90, un maestro inimitabile, capace di spiegare le maggiori crisi internazionali facendo unicamente ricorso a pane e salame.
Al nostro articolo, oltre alla forma semplice, dobbiamo anche dare una struttura solida. A prescindere dalla sua lunghezza, è necessario che nel suo primo paragrafo l’articolo ospiti l’essenza della notizia o, se preferite, del fatto che si va a raccontare. Nel primo paragrafo vanno soddisfatte le famose cinque W derivate dal giornalismo anglosassone: who? what? where? when? why? chi? cosa? dove? quando? perché? In ordine variabile, ma senza possibilità di deroga. Esempio: Il processo contro i presunti assassini di Anna Politkovskaja comincerà il 17 novembre a Mosca: lo ha stabilito ieri, durante l’udienza preliminare il tribunale militare della capitale russa (…). È l’inizio dell’articolo a firma di Leonardo Coen pubblicato ancora il 16 ottobre da Repubblica. Un inizio impeccabile. Le prime righe di un articolo sono fondamentali per due motivi: devono contenere, come già spiegato, l’essenza della notizia e devono essere capaci di affascinare il lettore per condurlo fino in fondo. L’inizio dell’articolo è detto attacco, mentre le ultime righe del pezzo si chiamano chiusura. Se si scrive di una notizia così importante da destare la sicura attenzione del lettore si può anche ricorrere a un attacco freddo, quasi scolastico. Se invece ci si trova alle prese con un argomento non troppo popolare o, peggio, con una notizia che il lettore ha sicuramente consumato la sera prima guardando la tivù, è invece, opportuno fare un grosso sforzo di fantasia e pensare a un attacco accattivante che, alle cinque W, affianchi una parte d’effetto. “Cenerentola non va ai posticipi, teme di fare tardi.
La piccola fiammiferaia e il gatto con gli stivali sono rimasti fuori dai cancelli. La favola è rimasta in piedi fino al 38' s. t., quando Salas ha segnato il 3-2, su rigore
” è l’articolo a firma di Gianni Mura (Repubblica, “ça va sans dire”, su una rivista valdostana possiamo anche usare il francese…) pubblicato all’indomani di Juventus-Chievo 3-2 nel settembre del 2001. In quell’occasione, la piccola e neopromossa in Serie A squadra di Verona tenne in scacco la corazzata di Lippi, trovandosi a condurre 2-0 dopo soli 19 minuti e venendo piegata nel finale di partita solo da quel rigore (inesistente, ovvio) di Salas. Tutti celebrarono i vinti ancor più dei vincitori.
E affinché, il giorno dopo la partita, il lettore potesse decidere di smazzarsi altre 50 righe di articolo era necessario un colpo da maestro come l’attacco di Mura che non delude neanche nella chiusura: “Complimenti al Chievo. La Sirenetta, se c'è un facsimile sul canale Camuzzoni, non deve piangere”, scrisse.
Tra l’attacco e la chiusura trova posto lo svolgimento dell’articolo, vale a dire la parte che sviluppa il tema affrontato. Anche qui le regole sono le solite, riassumibili in una sola parola: semplicità. Il tema da affrontare va sviscerato un pezzo alla volta, sezionandolo in tanti piccoli compartimenti, all’apparenza uno indipendente dall’altro. Il modello di riferimento sono i cosiddetti lanci d’agenzia: qui il giornalista è costretto a modulare il proprio articolo in tanti piccoli paragrafi di lunghezza standard, così da permettere ai media (giornali, tivù, radio) che lo riprenderanno di usarne una o più parti e di rendere le stesse intercambiabili. Questo tipo di svolgimento viene assai naturale negli articoli di cronaca, ma è più difficile da mettere in pratica in ambiti come la politica, la cultura o l’economia. Tre settori complessi, all’interno dei quali è necessario sviluppare una capacità critica e un lessico particolare. Il giornalista che si specializza in uno di questi settori troverà raramente la voglia e la possibilità di cimentarsi con un altro ambito. Viceversa, si rivela assai più versatile il giornalista che sviluppa altre competenze più universali (cronaca bianca e nera, ma anche sport).
Semplicità nello scrivere, chiarezza nella struttura dell’articolo e, ultima ma non per caso, la separazione dei fatti dalle opinioni. Chi scrive è chiamato a raccontare la notizia, non a giudicarla. Sarà il lettore a farsi un’opinione, ma l’articolo dovrà unicamente esporre l’accaduto, riportando, quando è possibile, la voce dei protagonisti e mai la voce diretta di chi scrive. Questo è il patto fondamentale tra il giornalista e il lettore: i patti vanno rispettati, ma non scrivetelo in latino (pacta sunt servanda) perché rischiate di non essere capiti.

Salvo Anzaldi
Giornalista

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