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Una lingua in evoluzione

Il linguaggio della scuola e quello della rete possono essere antagonisti o coprotagonisti
della crescita culturale degli alunni. Scontro o fusione? Questa la vera sfida didattica.

I nuovi media sembrano favorire e anzi imporre la diffusione di convenzioni linguistiche in perenne mutazione dietro cui la scuola fatica a tenere il passo. Basta affacciarsi su internet, curiosare nei blog o nei forum, origliare tra i messaggi sulle pagine di myspace, di facebook o di altre community, per accorgersi di una lingua diversa rispetto a quella che ci sforziamo di insegnare a scuola (ma anche, per la verità, rispetto a quella che consigliano i buoni manuali di scrittura per il web). All’occhio critico dell’insegnante, l’uso reale di questi linguaggi iconici, sintetici, abbrevianti, sostituisce l’avventatezza alla riflessione, rivela insensibilità per la grammatica, ne afferma una nuova, più elementare ed ellittica, esclamativa. Ma se pure noi utilizziamo internet (apriamo un blog, ci lasciamo coinvolgere da un forum, inviamo una e-mail, comunichiamo per iscritto su skype), sentiamo subito che anche la nostra lingua cambia, si fa paratattica, sussultante, indulge in abbreviazioni e icone, non si dà pensiero dell’ortografia.
Questa lingua d’uso, veloce, immediata, vitale certo, ma anche distratta, approssimativa, ci pare ancora più disorientante del linguaggio ufficiale dei nuovi media, denso di tecnicismi, gergalismi, anglicismi. In essa ravvisiamo la deriva, già notata nell’italiano degli sms o in quello televisivo, l’impoverimento lessicale, l’incoscienza sintattica; con l’aggravante che internet espande, moltiplica queste cattive abitudini, in un colossale gioco di copia-incolla, che in un certo senso le formalizza come caratteri della lingua di oggi.
Preso atto di questo, cioè della percezione di una grande differenza, a che punto è l’incontro tra le esigenze della scuola e l’impiego dei nuovi media?

Esplorando la rete

Partiamo proprio dall’enunciazione di una difficoltà, nota, credo, a tutti i docenti di Lettere: sovente questa pratica linguistica, che non è esclusiva del web, ma sul web prolifera, si infiltra nelle altre scritture, contamina gli appunti, compare sui compiti in classe, togliendo, ai nostri occhi, sensibilità alla precisione lessicale e alla correttezza grammaticale. Se poi ne seguiamo le tracce su internet, essa sembra rivelare un sistema di relazioni istantanee ma superficiali con il mondo, rivela anche e soprattutto ansia di mantenere aperto il contatto (anzi, una rete di contatti in cui la cosa più importante è comparire, più che dire), di sentire che gli altri ti conoscono, ti pensano, forse stanno per risponderti, forse lo faranno, perché non lo fanno ora?
L’iconicità della grafica, ormai inscindibile dal testo, l’uso avventuroso dei colori, della punteggiatura e di emoticon via via più sofisticate, rimediano alla limitatezza di lessico e sintassi, rendono più veloce il messaggio, riducono il rischio di equivoci. I segni visivi diventano didascalie di immediata lettura che rassicurano sia chi legge sia, soprattutto, chi scrive, esternandone e fissandone al di là di ogni dubbio le emozioni e le intenzioni.
Da quando è possibile aprire un numero praticamente infinito di blog gratuitamente e velocemente, tutti ne curano almeno uno, postano contributi, discutono degli argomenti più vari: ma quanti li leggono davvero, oltre agli autori? A scorrere rapidamente alcuni dei numerosissimi blog che affollano la rete, si scopre che pochissimi riescono davvero a emergere, e soprattutto a suscitare commenti; e pochissimi commenti diventano occasione di uno scambio non episodico di messaggi.
Il blog sembra essere per sua natura autoreferenziale:
il creatore del blog parla di sé e ne parla a se stesso (se poi qualcuno legge, meglio, ma davvero sembra aver sostituito le pagine di un diario). Nel migliore dei casi, si alimenta una piccola comunità di amici con cui, più che il contenuto del messaggio, pare sia importante mantenere, anche solo con un emoticon e quattro punti interrogativi o esclamativi di fila, un contatto.
Anche nei forum, molti temi di discussione sono presto disertati o del tutto ignorati e solo pochi di questi danno vita a confronti che, se troppo animati, diventano un affastellarsi di interventi fuori sincrono.

Tentativi di incontro

Non è ancora nato un Queneau che dia la sua versione aggiornata degli Exercices de style parodiando i nuovi linguaggi nello sforzo di raccontare in modo diverso la stessa storiella. E non vedo nemmeno un Rodari che giochi con le piccole virtù poetiche di sms, e-mail, e via dicendo. Ma forse è solo questione di tempo (o forse qualcuno ci già ha pensato, ma io non lo so). In effetti, già alcuni blog, divenuti famosi grazie al passaparola sulla rete, sono sfociati in libri; e molte pubblicazioni di consumo sono già influenzate dall’icasticità (e dalla approssimazione) delle forme espressive sul web, che talvolta si sommano a precedenti influssi di quelle televisive o, se va bene, cinematografiche.
Tornando alla scuola, ho l’impressione che per ora veda tutto questo con diffidenza: l’intrusione degli stili comunicativi legati al web viene vissuta da numerosi insegnanti, molti dei quali conoscono solo in parte i più recenti mezzi informatici, come uno stravolgimento su tutto il piano grammaticale, non come nuova linfa vitale. Essi difendono una lingua scolastica, tendente alla conservazione, incline alla sterilizzazione degli apporti dall’esterno che ne turbino l’atemporale armonia grammaticale, fondata su regole che il parlare quotidiano ignora, aggira o incrina, ma che continuano a rappresentare la ricetta migliore per affrontare argomenti complessi in modo pertinente (ma sto caricaturizzando un comportamento didattico che è tutt’altro che uniforme e che, in effetti, va dall’estrema rigidità a una ben disposta, o rassegnata, tolleranza): ecco perché, fino ad oggi, il contatto con i nuovi linguaggi è stato affrontato soprattutto con la penna rossa.
Eppure, una parte minoritaria, ma tutt’altro che sommersa, del mondo docente sta lavorando da anni attorno alle potenzialità didattiche del web. Una semplice ricerca su Google conferma che esistono, oltre a numerosi blog pensati dagli insegnanti per gli insegnanti, vari forum animati da alunni di solito appartenenti alla stessa classe, moderati dall’insegnante e aperti ai genitori. Sono pagine che, declinando divertimento e progettualità, si sforzano di essere accattivanti e semplici come pagine di diario, con l’aggiunta dei soliti ritrovati grafici, ed esprimono un gran desiderio di comunicare simpatia e voglia di imparare.
È possibile anche imbattersi in disamine impeccabili dell’argomento, come Il blog va a scuola di Romolo Pranzetti, scaricabile da www.comeweb.it/edublog_c.pdf, o in raccolte di testimonianze come http://blogdidattici.splinder.com/post/8188921/Ipertesti, nato dall’esperienza della docente Maria Teresa Bianchi, o come www.scuolaer.it/page.asp, il sito dedicato alla scuola dalla Regione Emilia Romagna, in cui si enumerano i possibili obiettivi della creazione di un blog didattico (stimola l’utilizzo attivo e consapevole di internet, educa alla scrittura creativa, favorisce la collaborazione, il confronto, la comunicazione, ecc.).
Accanto a questi esempi ufficiali, in cui si cerca di mantenere un certo controllo formale e in cui a far da filtro è sempre un insegnante, compaiono moltissimi altri forum, tenuti in vita da studenti protetti dalle identità alternative date dagli avatar, che rappresentano, nel contenuto e nella forma, una critica all’ufficialità, o almeno una via alternativa e, talvolta, un sistema di mutuo soccorso nello studio e nello svolgimento di compiti non del tutto affidabile.
Che si tratti di un universo mutevole, dalle caratteristiche sfuggenti (oltre che instabile, fatto di molte nascite, ma anche di numerose agonie e innumerevoli morti), lo dimostra anche la necessità di darsi delle regole condivise, come si può leggere su http://scuo.la/lutente-ideale/11-scuola-li-vorrei-tutti-cosi.html, che contiene un decalogo comportamentale, fondato sui principi dell’interesse, della partecipazione motivata, della correttezza comunicativa e della buona educazione. Il fatto che i curatori del sito sentano la necessità di precisare queste buone norme suggerisce che il mondo dei forum (quello frequentato abitualmente dagli studenti) prescinde da tali regole, o ne segue altre che certo non prevedono la correttezza linguistica.

Possibili sviluppi

Le esperienze più marcatamente didattiche, sperimentate nel corso di anni e pazientemente trasformate da tentativi a normale pratica, mostrano che è possibile usare i nuovi media nell’ambito scolastico, a patto che vi sia almeno un insegnante motivato ed esperto. Aprire un blog collettivo, dando ad esso un’impronta didattica, tarandolo su letture, sulla recensione di film visti, sulla produzione di brevi testi di varia natura, sullo scambio di informazioni, sull’intreccio di opinioni, permette di lavorare sulla collaborazione, la condivisione e la creatività, anche attraverso il contatto con altre scuole, classi o gruppi di studenti. Forse, però, un blog di classe, moderato dall’insegnante (e controllato perciò anche nella correttezza formale), potrà funzionare più facilmente nella scuola primaria: è possibile che gli studenti delle superiori disertino simili esperimenti e preferiscano contenitori meno soggetti al controllo, più liberi nell’espressione.
Per conoscere un approccio non conformista al problema, è utile dare un’occhiata alle attività di Carlo Infante su www.teatron.org. In anni di lavoro con scuole, biblioteche e altre istituzioni, Infante ha creato e animato diari di bordo on line, workshop, seminari per docenti e ragazzi, tutti incentrati sull’incontro tra creatività multimediale e ambiente educativo, spesso utilizzando l’esperienza teatrale come collante tra le diverse discipline; le sue pubblicazioni Educare on line e Imparare giocando danno sostanza teorica a una molteplicità di metodi concreti e fantasiosi.
Accostarsi ai nuovi mezzi come a versioni aggiornate dei vecchi laboratori di scrittura creativa significa, infine, lavorare sulle forme con cui si comunica all’interno di tali contenitori, analizzarne le componenti grammaticali e retoriche, affinarle, confrontarle con i linguaggi propri di altri contesti. Giocare con le forme comunicative del web non dovrebbe portare a usarle indifferentemente in allegri esperimenti maccheronici in cui ognuna di esse, in fondo, si equivale, ma, al contrario, a esplorarne le specificità, sondarne le differenze e, se è il caso, mostrarne l’inconciliabilità. Questa riflessione, forse, consentirebbe di recuperare alla compassata e inamovibile complessità del linguaggio scolastico anche gli alunni più restii e permetterebbe di aprire un contatto tra docenti e alunni o almeno di accorciare le distanze.
La dimensione del gioco (sui linguaggi, ma anche sulle forme, sulle strutture), lontano da ogni rischio di valutazione, probabilmente è la più congeniale, secondo modelli suggeriti da Rodari o Queneau, dagli ancora validi Draghi Locopei, da Calicanto, di Ersilia Zamponi e Roberto Piumini, o da più recenti e mirati manuali come Scrivere per il web di Mario Grasso. Analizzare la retorica dei messaggi dei nuovi media potrebbe dare altri risultati interessanti: anche per l’insegnante, ridurre l’irto linguaggio delle chat line o dei forum a un sistema regolato dalle solite, care, vecchie figure retoriche potrebbe rappresentare un modo per renderselo familiare, per esorcizzarne la pericolosità, vera o presunta.
Sono tutte ipotesi di lavoro che, non entrando in collisione con la normale programmazione didattica, possono dare agli alunni una maggiore consapevolezza della varietà e della peculiarità dei linguaggi e aprire al docente una finestra sulle più recenti forme comunicative che i giovanissimi padroneggiano e che per lui sono ancora criptici.

Claudio Morandini
Docente - Liceo scientifico E. Bérard di Aosta

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