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Ingegnanti

Intervista a Gabriele Scascighini Direttore Fondazione Informatica per la Promozione della Persona Disabile di Lugano

Professor Scaschighini, di cosa si occupa la vostra fondazione?
Il nostro interesse principale è rappresentato dallo studio e dalla produzione di strumenti per affrontare i problemi legati alla disabilità comunicativa, alla motricità e alla robotica pedagogica. In realtà, i nostri prodotti, sia che si tratti di software sia che si tratti di hardware, sono molto aperti e permettono di operare gli adattamenti necessari per soddisfare le necessità pedagogiche.

Come intervenite sulle difficoltà di espressione scritta?
Abbiamo strumenti diversi e molto adattabili. Si va dalla possibilità di creare una tastiera a schermo fino alla possibilità di utilizzare accessi multipli alla stessa periferica.
I problemi di scrittura nascondono spesso difficoltà di tipo neuropsichiatrico o psicofisiche. Su questi aspetti la tecnologia può intervenire solo parzialmente, mentre gli strumenti possono risultare molto efficaci quando esiste una capacità pregressa di letto-scrittura. Se il funzionamento linguistico è compromesso, è indispensabile individuare modi differenti di intervento in collaborazione con i docenti. Proprio grazie al fatto che le tecnologie vengono studiate in funzione delle situazioni limite, ogni docente può adattarle a quelle intermedie che incontra. Per ottenere questo risultato, forniamo ai nostri utenti una formazione tecnica ricavando da loro indicazioni didattiche anche per non perdere di vista che la tecnologia è un ausilio nell’affrontare i problemi, non la loro soluzione.
I veri risolutori sono i docenti che, utilizzando sovente tecnologie povere o adattando tecnologie studiate per altri scopi, sono in grado di lavorare sui singoli casi. Del resto, i nostri prodotti affrontano problemi molto specifici, quindi sarebbe impensabile creare uno staff di esperti preformati: ogni docente deve potere e saper adattare tecnologia e programmi all’alunno che sta seguendo.

Cosa ritiene fondamentale per la riuscita di un vostro progetto?
Come in tutte le cose, esistono, dei limiti finanziari da rispettare. Su di un bambino la collettività è disposta ad investire risorse fino ai 18 anni; su di un adulto, dopo 3-4 mesi ritiene di aver prodotto il massimo sforzo economicamente tollerabile. Quindi, avere un buon finanziamento è indispensabile. La sinergia tra le varie forze coinvolte è un altro punto inderogabile. Il nostro laboratorio è molto grande ed è composto da docenti che sperimentano e ingegneri che osservano gli effetti dei loro prodotti. Mettere assieme figure così diverse consente di limitare la mitizzazione della tecnologia, da una parte, e minimizzare il narcisismo tecnologico, dall’altra. Infine, i risultati vanno misurati. Anche in questo ambito, l’apprendimento è risultato proporzionale alla competenza che i docenti hanno acquisito sul campo.

Mettere di fronte ad un computer un alunno significa isolarlo?
Tutti gli applicativi che mettiamo a punto hanno tra gli obiettivi anche quello di favorire la comunicazione. Non si lavora per isolare, ma per mettere in contatto. Quando lanciamo sul mercato un prodotto, mettiamo bene in evidenza che questo è lo scopo fondamentale che ci prefiggiamo. Un esempio: abbiamo dei software che permettono a bambini della nostra scuola media di parlare con compagni muti attraverso dei pittogrammi. Questo è togliere dall’isolamento. Ed è bene ricordare che proprio il confronto tra normodotati e disabili permette di superare paure e chiusure.

L’insegnante, che ruolo deve rivestire?
È l’attore principale. Il software è assimilabile ad una videata nera. I colori, il movimento, l’animazione, l’interesse provengono dalla competenza pedagogica e tecnica degli insegnanti. I migliori strumenti didattici ritengo che siano quelli costruiti dagli insegnanti stessi e non quelli presi già costruiti e chiusi su loro stessi.
È questa la filosofia dei nostri software: al centro di tutte le operazione didattico-pedagogiche c’è il docente, come al centro dell’apprendimento c’è l’alunno. Ma, perché la scuola si motivi, prepari il personale, investa nella specializzazione di molti insegnanti, devono esserne convinti prima di tutto i politici e i capi di istituto.

Lavorare con alunni disabili utilizzando questi strumenti presenta difficoltà particolari?
No, se non si punta ad omogeneizzare i ragazzi. Ma questo non è un problema dei diversamente abili: è un’attenzione didattica generale. Ognuno di loro ha competenze, punti di forza e di attenzione da sfruttare, magari utilizzando uno strumento tecnologico che consenta di superare i loro limiti fisici.

La Redazione

 

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