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What a wonderful world

“I see trees of green, red roses too / I see them bloom for me and you / And I think to myself / What a wonderful world”. (Louis Daniel Armstrong)

É molto difficile, per me, spiegare su una rivista scolastica come nacque l’idea di inserire nelle mie discipline, storia e filosofia, un piccolo percorso dedicato alla musica. In realtà, la motivazione personale, all’inizio, era di natura affettiva, quasi sentimentale: avevo perduto una vecchia zia, pianista, concertista, insegnante di musica e avevo bisogno di qualcosa che perdurasse, accanto a me, di lei. L’idea era far entrare la musica nella storia.
Una collega mi disse: “Rivolgiti ad Efisio Blanc”. E fu così che cominciò un sodalizio che dura ormai da diversi anni, che ha visto nel tempo la collaborazione di colleghi diversi, tutti motivati dall’idea che fosse positivo offrire ai nostri studenti delle suggestioni, un invito ad ampliare i loro orizzonti musicali.
Ci rendemmo immediatamente conto che l’efficacia dell’intervento era tanto maggiore, più dotata di senso, quanto più si ricollegava ad elementi e temi presenti nella programmazione curricolare. Uno degli esempi iniziali di questo gioco di rimandi fu un modulo per le classi seconde in cui Efisio Blanc faceva interagire l’ascolto del Don Giovanni di Mozart con l’interpretazione del Diario del seduttore di Kierkegaard.
Devo confessare che queste lezioni hanno affascinato anche me e che spesso mi sono sentita scolara, accanto a lui, a condividere con i miei studenti curiosità, stupore, entusiasmo, perplessità e gioia. Abbiamo sempre (l’idea è di Efisio), anno dopo anno, monitorato il gradimento e il senso di quanto stavamo facendo ricevendo dagli studenti indicazioni preziose e stimoli per ampliare, se possibile, lo spazio del repertorio, dirigerci verso aspetti anche della modernità e, perché no, verso una lettura colta della musica commerciale che i ragazzi sono comunque spinti a consumare.

Fare musica

Non tutto si può fare. Le ore di musica erano destinate a rimanere “esemplari”, un invito alla musica, non un approccio esaustivo. Di anno in anno il lavoro è stato modificato, limato, reimpostato. Abbiamo potenziato gli aspetti che rendevano l’intervento più efficace, l’uso del canto per far proprio un tema musicale, adottato l’uso di supporti multimediali creati ad hoc: ho negli occhi l’immagine dello spartito di Stripsody di Cathy Berberian proiettato sul muro dell’aula magna e i visi stupefatti degli studenti. Si è cercato di esprimere visivamente i parallelismi culturali mostrando, ad esempio, nel modulo sulla musica medievale, come le forme architettoniche esprimessero plasticamente le forme musicali.
La presenza di studenti musicisti è stata utilizzata per rendere più viva la didattica: a loro era richiesto di proporre alla classe, con il proprio strumento, la linea melodica di un brano che si sarebbe ascoltato.
I ragazzi si rivelavano disponibili a mettersi in gioco, a fare dono di aspetti di sé, capacità che normalmente rimanevano confinate fuori della scuola, nei conservatori, nelle bande musicali, nei cori, nei gruppi giovanili.
Accanto ad un gradimento costante, perdurava la richiesta di un intervento che non si limitasse alla musica colta, il desiderio più frequente era: fare musica a scuola. L’insistenza con cui i ragazzi ripresentavano questa proposta mi ha reso probabilmente più attenta e quindi nell’anno appena trascorso il progetto è stato ampliato, includendo il jazz al suo interno. È stato ancora Efisio Blanc a coinvolgere Beppe Barbera, un musicista jazz che da anni si esibisce in Valle d’Aosta, ed è cominciata una fase nuova in cui, accanto a Musica nella storia, si è sviluppato un percorso di produzione di musica ispirata al Jazz. L’Amministrazione regionale ci ha dato i finanziamenti attraverso i “progetti speciali” promossi dalla Sovrintendenza agli studi. Non ci potevo credere! Qualcuno, in un ufficio ignoto, aveva creduto al nostro progetto, potevamo cominciare a comprare gli strumenti che sarebbero rimasti di proprietà della scuola, creando la possibilità di una continuità di progetto.
E così siamo partiti: abbiamo fatto il primo screening cercando nella scuola gli studenti-musicisti che avessero voglia di realizzare davvero quello che per anni avevano desiderato.

E si parte

Alla prima riunione con Beppe Barbera eravamo una dozzina, una decina i ragazzi, curiosi, ma forse con una punta di diffidenza, dubbiosi forse di sé, forse della proposta. Ci guardavamo un po’ timorosi, un po’ increduli: cosa saremmo stati capaci di fare? Cosa sarebbe stato prodotto nel giro di soli tre mesi? Come sarebbe stato possibile arrivare all’esecuzione di un concerto? Beppe Barbera ha creato l’atmosfera giusta per questa scommessa con la sua professionalità, umanità, il rigore e la simpatia che lo contraddistinguono. Ha saggiato le possibilità dei ragazzi, le loro competenze. Ha scelto i brani sulla base delle abilità in atto, ha confezionato gli arrangiamenti su misura, tenendo conto dell’organico strumentale disponibile. Come fare un gruppo Jazz con sei pianisti? Ha puntato sulla loro versatilità, sulla capacità di molti a ricoprire ruoli diversi, a turno: due pianisti alle tastiere, uno al pianoforte, un clarinetto ed una batteria. E tutti ad avvicendarsi nel gioco delle voci, con una vocalist solista d’eccezione. Barbera è rimasto stupito dall’eccellenza delle prestazioni dei ragazzi, dalle loro capacità. Gli incontri di preparazione al concerto sono stati solo sei di due ore ciascuno, pomeridiani. Abbiamo faticato a conciliare orari e impegni di ciascuno, ma si era creato un grande affiatamento, un senso di responsabilità verso il gruppo e gli impegni presi che spingeva a superare le oggettive difficoltà. Gli studenti hanno risposto con una grandissima disponibilità, collaborando anche per gli aspetti logistici e funzionali. Con i finanziamenti abbiamo comprato il pianoforte e alcune attrezzature di base, la batteria è stata prestata e mamme volonterose hanno aiutato a trasportare gli strumenti che mancavano. Nessuno si è tirato indietro. In queste situazioni, improvvisamente, i ragazzi ti si parano davanti in una dimensione inconsueta che spiega qualcosa di più di loro, ma anche di noi e della scuola. Ci rendevamo conto che emergevano potenzialità e passioni, doti personali che spesso sono destinate a rimanere ignorate nelle ore della didattica curricolare e che studenti non proprio brillanti o distratti erano invece in grado di esprimere, in un contesto diverso, delle abilità, una capacità di concentrazione, una costanza che, in condizioni normali, l’insegnante avrebbe giudicato impossibili. Anche per il docente che si mette in gioco si presenta un problema: mentre nella didattica curricolare sovente è spinto a irrigidirsi in un ruolo, in questi casi l’insegnante si mette in gioco anche come persona e ne avverte la contraddizione e il rischio. Si è aperta quindi la possibilità di un incontro fra insegnanti e ragazzi intorno ad un inedito oggetto di riferimento, la musica appunto, per il quale non era richiesto l’onere di dare o ricevere una valutazione e che questa libertà reciproca invece di sminuire l’impegno, lo liberava. I ragazzi erano felici di essere lì a provare i pezzi con Beppe Barbera, con tutta la serietà del gioco.
È nato il Classic Jazz Ensemble: pianoforte, clarinetto, batteria, due tastiere e, splendide, le voci. Il concerto finale è stato eseguito alla presenza dei compagni di scuola e dei docenti in un’aula magna stracolma. I musicisti sono stati bravissimi, il soffitto ha rischiato di crollare sotto gli applausi. Federico al pianoforte, Leonardo voce e tastiera, Simon alla batteria, Celeste, Marianna e Stéphanie voci coriste e tastiere, Andrea al clarinetto, Alessandro, tastiera e voce, Elisabetta voce solista, tutte e tutti ci hanno davvero fatto sognare sotto la Luna di Monk, di Beppe Barbera. Ancora una volta la musica ha fatto centro.

Orietta Zerega

 

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