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Sotto tensione

Ansie e preoccupazioni di studenti e genitori costringono i docenti ad interrogarsi sul loro ruolo: trasmettitori ed elaboratori di cultura o educatori che privilegiano il benessere psicologico degli studenti?

Gli studenti

D’altronde, una vita senza amici è di molto peggiore di una vita con l’angoscia della bocciatura”. Questa affermazione, tratta da un recente tema di una studentessa di prima superiore, esprime l’ordine dei valori dei giovani con i quali mi confronto ogni giorno. La necessità di relazioni interpersonali, propria di ogni essere umano, assume, in questi tempi, la priorità nelle preoccupazioni dei giovani e, soprattutto, lo fa in maniera assolutamente autonoma rispetto alle forme di riconoscimento sociale precedenti, quali potevano essere il conseguimento di voti alti e il conseguente prestigio che se ne ricavava tra i compagni.
Posto di fronte alla scelta tra "star bene" e "riuscire nello studio", il giovane sceglie la prima, senza esitazione e senza considerare le future conseguenze delle proprie azioni, perso in un eterno presente nel quale l'essere accettato dal gruppo dei pari costituisce il primo, quando non l'unico, obiettivo della sua azione. In questo contesto, si comprende come sia possibile per gli studenti perseguitare il "secchione" ed emarginare il potenziale respinto, che è condannato a perdere i compagni prima ancora dell'anno scolastico, in quanto "troppo" diverso dai compagni di classe.
Le cause dell'assolutizzazione del gruppo dei pari discendono dalla progressiva scomparsa dei genitori nella giornata del ragazzo. Mai come negli ultimi decenni, le figure del padre e della madre hanno perso peso nella vita degli adolescenti, perché gli adulti sono costretti dalle regole del sistema economico ad essere assenti da casa per troppe ore, lasciando i propri figli soli, davanti alla televisione (o al computer o alla console dei videogiochi). La mancanza di figure adulte in grado di condividere la giornata con gli adolescenti ha caricato di importanza sempre maggiore la relazione con il gruppo dei pari. Per questo, la paura principale dello studente di scuola superiore non è più il brutto voto o la bocciatura, esorcizzati con formule urlate ed iperboliche, quali "se domani non mi vede, mia madre mi ha ammazzato [a causa del risultato insufficiente]": la paura principale è per il giudizio negativo del gruppo dei pari, è perdere il riconoscimento dei compagni, è non sentirsi accettato per come si appare (di qui l'importanza dei vestiti e della moda).
Di fronte a tale situazione, il docente ha poche possibilità di incidere sul ragazzo grazie all'autorevolezza derivatagli dalla conoscenza della propria disciplina, né può farlo per l'autorità formale che dovrebbe caratterizzarlo. Entrambe, infatti, sono state definitivamente compromesse dalla legislazione scolastica dell'ultimo quindicennio, in special modo quella relativa ai debiti formativi e al loro recupero, cui solo ora – e con estrema difficoltà – si sta ponendo riparo.
I giovani possono essere distratti o svogliati, ma non sono stupidi e hanno compreso immediatamente come e quanto rischiare, quali materie non studiare e quali altre, invece, seguire sempre con la dovuta attenzione. Certo, questa affermazione non può essere generalizzata a tutti gli studenti, ma è esperienza quotidiana dei docenti, soprattutto del triennio della Secondaria superiore, assistere all'applicazione pratica dei calcoli relativi alle discipline da tralasciare senza il concreto rischio di compromettere l'anno scolastico.
Si è così venuto ad approfondire il divario tra le attese dell'insegnante e le aspirazioni dello studente, divario aggravato sia dall'atteggiamento talvolta presuntuoso di quest'ultimo sia dalla crescente lontananza dei genitori e dalle conseguenti attese, proiettate sulla Scuola.
Recentemente, una collega mi ha riferito di essersi sentita apostrofare da uno studente con la frase "Siamo giovani, abbiamo più diritti di lei": anche quest’affermazione rispecchia il cambiamento ormai radicatosi nelle nuove generazioni. è venuto a mancare – in maniera che appare definitiva – il rispetto verso le persone più anziane, in quanto portatrici di esperienze e insegnamenti utili anche ai più giovani, un fenomeno che Platone giudicava l'incubatore della tirannide(1).

I genitori

Certo, il mondo attuale cambia ad un ritmo inconcepibile rispetto al passato e linguaggi e comportamenti giovanili mutano a distanza di pochi mesi, tanto da far sembrare remota la possibilità di interazione tra adulti e giovani. In realtà, i giovani sono alla ricerca continua di punti di riferimento e il docente può offrirne uno, soprattutto quando fornisce loro criteri interpretativi di una realtà tanto sfuggente. Per farlo, però, il docente si ritrova a privilegiare la componente affettivo-relazionale della sua attività, a scapito di quelle didattiche e contenutistiche che appaiono rivolte ad un passato giudicato troppo remoto dagli studenti.
Questo processo è ulteriormente rafforzato dall'atteggiamento dei genitori, che troppo spesso agiscono come se richiedessero alla scuola di sostituirli nel loro compito educativo. Come dimostrano tutte le ricerche in questo campo (e l'esperienza quotidiana dei docenti), la partecipazione dei genitori agli organi collegiali decresce in maniera esponenziale più si procede verso le scuole superiori, dove spesso non si riesce neppure a trovare persone disponibili per la carica di rappresentante nel Consiglio di classe e, se si trovano, queste non sono contattate dagli altri genitori, finendo col svolgere un ruolo autoreferenziale, privo di reale incisività sulla classe.
In questo quadro, i rapporti tra docenti e genitori si riducono fatalmente ai colloqui interquadrimestrali o, nel migliore dei casi, a pochi incontri mattutini, spesso motivati da gravi problemi dello studente, cosicché i principali responsabili dell'educazione del giovane si incontrano solo in situazioni già patologiche e il loro dialogo risulta viziato dalla necessità di porre rimedio ad una situazione di emergenza. I genitori esprimono, in tali occasioni, solo la paura di vedere il figlio respinto, mentre sono pochi coloro che chiedono al docente informazioni sul comportamento, il linguaggio o l'atteggiamento generale del ragazzo.
Personalmente, quando incontro un genitore, chiedo per prima cosa qual è l'immagine della scuola che il ragazzo comunica a casa, se esprime giudizi o riferisce difficoltà di relazione con i docenti e i compagni di classe, perché si riesce ad insegnare la propria disciplina solo conoscendo chi si ha di fronte e cercando di operare in un ambiente in cui non esistono contrasti troppo forti tra le persone interessate.
Molto spesso, i genitori si stupiscono di questo approccio, perché la loro attenzione è rivolta al solo risultato scolastico, espresso in voti: "Mio/a figlio/a va bene? Sarà promosso/a? Recupererà l'insufficienza?".
Talvolta, sono io ad avvertirli di un atteggiamento non sano dei loro figli, a rilevare un disagio o una difficoltà esistenziale che non avevano percepito. In questi casi, ritengo però di svolgere un ruolo di supplenza educativa, di dare un contributo che, nel mio sentire, va oltre il compito legato alla mia professione. Eppure, a livello teorico, non dovrei stupirmi di quanto avviene: il docente – soprattutto quando ha una disciplina che prevede molte ore in classe – si trova in una posizione privilegiata per conoscere l'adolescente, in quanto è forse la persona che lo vede per il periodo di tempo più lungo durante la giornata, senza essere coinvolto emotivamente da una relazione parentale che può costituire un ostacolo alla corretta lettura del comportamento dello studente e con il potenziale aiuto dei colleghi, con i quali si può confrontarsi per evitare conclusioni affrettate o troppo personali.
A questo punto, però, emerge con tutta evidenza quello che considero il problema fondamentale del docente oggi: definire con la necessaria precisione il proprio compito, per poterlo svolgere al meglio.

I docenti

Se la paura dell'adolescente è il mancato riconoscimento del gruppo dei pari, se la principale apprensione per un genitore è la promozione del figlio, senza indagare troppo sulle sue reali capacità o sulle sue condizioni psicologiche, questioni per le quali si delega volentieri ai docenti, a che cosa è chiamato l'insegnante di scuola secondaria superiore?
Solo definendo i compiti ai quali sono chiamato, infatti, posso esplicitare le "paure" che derivano dal non essere in grado di affrontare la mia professione.
Ora, il quadro nel quale mi trovo ad operare è oltremodo confuso e instabile.
Dal punto di vista normativo, la scuola superiore è stata quella che, nell'ultimo decennio, ha subito il maggior numero di trasformazioni, senza, per altro, essere oggetto di una riforma compiutamente formulata ed applicata. Al contrario, i ministri susseguitisi nelle diverse legislature hanno provveduto a modificare il lavoro dei docenti attraverso DPR e Decreti Ministeriali, che hanno imposto, ad esempio, nuove modalità di redazione delle prove scritte di Italiano e introdotto la cosiddetta "terza prova", con le conseguenti nuove richieste ai docenti incaricati di preparare i maturandi, mentre la recente trasformazione dei corsi di recupero spinge decisamente la Scuola verso la scelta della didattica modulare, della quale non si fa più cenno esplicito nelle ultime due legislature, ma che soggiace a ogni progetto di riforma dai tempi del ministero Berlinguer.
Dal punto di vista relazionale, le difficoltà nella gestione dei rapporti con gli studenti, denunciate con frequenza crescente dai mezzi di informazione, richiedono ai docenti lo sviluppo di competenze fino ad un decennio or sono non così centrali nella loro formazione.
Infine, le attese dei genitori e, in generale, degli adulti al di fuori della Scuola, i quali leggono questo particolare ambiente con le lenti dei loro ricordi scolastici, caricano facilmente i docenti della responsabilità per i fallimenti educativi incontrati dai ragazzi.
Questo quadro ingenera paura nei docenti? Per la mia esperienza, ritengo che il termine sia esagerato e che altre parole potrebbero descrivere l'atteggiamento mentale degli insegnanti: disorientamento, insicurezza, insofferenza, rassegnazione. Il vero timore è quello per la frustrazione di non potere intervenire efficacemente sui ragazzi in difficoltà. Il docente ha le capacità di lettura necessarie per comprendere che cosa non funziona, ma per mancanza di strumenti, professionali e soprattutto legali, non riesce ad incidere sulle situazioni con le quali si trova a confrontarsi.
Le eccellenze di singoli studenti degli Istituti secondari valdostani dimostrano, a mio avviso, capacità di trasmissione del sapere non comuni da parte dei docenti e, nello stesso tempo, la tenuta qualitativa del secondario superiore in un contesto di forte cambiamento testimonia delle potenzialità insite nel corpo insegnante. In altre parole, di fronte ai cambiamenti imposti (e spesso non condivisi) a livello ministeriale, la maggior parte dei docenti valdostani ha dimostrato capacità di flessibilità ed adattamento non indifferenti, ma l'incertezza costante li ha portati ad una sorta di "ritorno al privato" professionale, fatto di isolamento e conflittualità latente che diminuisce l'efficacia del loro lavoro.
In ultima analisi, la reale paura, il reale problema della scuola secondaria è la coscienza di dover dare risposta ad un unico problema: a quali richieste è chiamato a rispondere l'insegnante? A quella di fornire conoscenze/competenze/capacità, come richiedono società e mondo del lavoro, oppure a quella di fornire "benessere" psicologico, come presentano gli studenti?
Nel primo caso, è fondamentale dare evidenza al ruolo sociale del docente, attraverso riconoscimenti, non necessariamente economici, che però lo facciano emergere come un tassello fondamentale e prezioso della costruzione sociale.
Nel secondo caso, occorre ampliare la formazione psicologica e pedagogica del docente rispetto a quella contenutistica e disciplinare, col rischio, non troppo lontano, in verità, di un eccesso di pedagogismo che premia il "come" si insegna rispetto al "cosa" si insegna e finisce, così, per giustificare difficoltà e comportamenti degli studenti, talvolta al limite della denuncia penale.

Alessandro Celi

Note
(1) "I discepoli non hanno più rispetto per i maestri, i quali, per non apparire intolleranti o dispotici, sono larghi con essi di lusinghe e di adulazioni. I giovani trattano da pari a pari coi vecchi, e questi adeguano al loro il proprio atteggiamento, dimostrandosi remissivi e condiscendenti. Sorge così la tirannide", Res Publica VIII, 14.

 

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