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Don Chisciotte e l'autonomia

Come è ben noto, l'insegnante considera se stesso, ancora oggi, come una sorta di cavaliere solitario che, novello Don Chisciotte, lancia in resta (con quel che resta della lancia, ovviamente) è pronto ad affrontare, con indomito sprezzo del pericolo, orde di barbari urlanti nel lodevole, ancorché forse disperato, tentativo di portare a termine la sua mission impossible: la crescita culturale dell'umanità (missione resa tanto più difficile dal fatto di avere a che fare con gli umani, seppur spesso di dimensioni ridotte).
Egli, come quel nobile ed antico cavaliere, da cui direttamente discende e le cui eroiche gesta ancora oggi si raccontano con deferente rispetto, è piuttosto refrattario al gioco di squadra e vede con malcelato sospetto qualsiasi tipo di attività che possa anche lontanamente interferire con le sue profonde convinzioni morali, etiche e professionali del resto ben simboleggiate dal motto che una volta era stampato a caratteri d'oro sullo scudo e che oggi è, invece, impresso a fuoco (lento) sull'agenda personale (ma alcuni insegnanti radicali lo portano tatuato sul petto): Ingenuus magister in vacua republica vivit ovvero sono un libero docente e docio come cacchio mi pare.
È naturale, quindi, che l'annuncio dell'entrata in vigore dell'autonomia scolastica abbia suscitato nel nostro nobile cavaliere culturale una serie di aspettative che qui andiamo brevemente ad indicare:
• Consistente diminuzione delle riunioni collegiali
• Riduzione degli adempimenti burocratici
• Pausa caffè ad libitum.

Da una accurata ed approfondita ricerca sul campo (la solita raccolta di voci di corridoio) pare che, dall'entrata in vigore dell'autonomia, gli unici insegnanti ad essersi accorti di una diminuzione delle riunioni siano quelli, nel frattempo, andati in pensione (ebbene si: in passato esisteva anche questa possibilità). In modo costruttivo vogliamo lanciare qui ufficialmente la proposta di prendere spunto da chi l'autonomia la conosce e la pratica da più tempo ed adeguarci, per esempio, al regolamento dell'ex Istituto Autonomo Case Popolari (ora ARER - potenza dell'autonomia?) per quanto riguarda la gestione delle riunioni condominiali ed istituire finalmente, anche all'interno delle istituzioni scolastiche, il collaudato ed efficace sistema delle deleghe.
Per quanto riguarda il secondo punto (la riduzione degli adempimenti burocratici) per incondizionato amore nei confronti di una corretta informazione, facendo forza al radicato e ben noto senso della misura che la delicatezza del nostro compito di cronisti impone, ci vediamo costretti ad infrangere un tabù (sperando nel perdono dei nostri colleghi di religione e nella comprensione laica di quelli delle altre discipline) e a parlare di una pratica la cui sola evocazione rischia di suscitare crisi di orticaria epilettica di secondo grado in coloro che stanno ora leggendo questo articolo, ma siete ormai stati avvisati e se continuate a leggere lo fate a vostro rischio e pericolo e, dunque, osiamo nominare l'innominabile: la scheda di progetto.
Chiunque abbia provato ad organizzare, o anche solo a pensare, un'attività ha dovuto compilare una di quelle schede infernali: finalità, amenità, ore stimate, ore disprezzate, ore utilizzate, insegnanti coinvolti (sembra una sorta di delazione ed, infatti, nel sud Italia è una voce poco compilata) interventi esterni, interni, a cuore aperto, da tergo, collaterali, previsioni di spesa (mi raccomando, al centesimo), costi previsti, costi-oggi, costi-ieri (solo scuole in riva al mare), costi quel che costi, costipati e quest'ultimo punto, se inteso come stitichezza, a volte è una fortuna perché in alcune scuole pare si debba compilare una scheda anche per le uscite in bagno con conseguente ed intuibile difficoltà nell'individuare il responsabile di progetto che ha, in questo caso, l'aggravio di dover magari in seguito relazionare, di fronte all'intero collegio, sulle eventuali ricadute positive dell'attività e sulle modalità di espletamento della stessa.
Riteniamo che in questo campo si debbano porre assolutamente dei paletti invalicabili e che, quindi, compilare una scheda di progetto ogni volta che si deve compilare una scheda di progetto per poter compilare una scheda di progetto sia un tantino ridondante.
La delusione più forte per il nostro indomito cavaliere concerne, però, il terzo punto e qui non c'è assolutamente bisogno di spendere molte parole, poiché siamo certi che ogni insegnante ricordi fin troppo bene, con tormentoso sconforto ed angosciosa amarezza, l'afflizione costernata ed avvilentemente dolorosa che con sgomento e, finanche, con un pizzico di disappunto, ha provato nell'apprendere che, anche se in regime di autonomia
scolastica, la C segnata nell'orario personale non è, nella maniera più assoluta, da intendersi come C di Caffè, ma indica, esattamente come prima della tanto decantata riforma, la semplice presenza di una compresenza.

Tempi duri per i poveri Cavalieri della Kultura. L'autonomia scolastica sembrava promettere la soluzione dei più radicati problemi che da anni affliggono la vita scolastica italiana, ma allo stato attuale si è rivelata, invece, una riforma assolutamente inconsistente. È forse stata applicata male? Ha dei margini di miglioramento?
Sorge in noi forte il sospetto che alla base ci sia un insanabile vizio di forma che ha generato un terribile equivoco foriero di tante - deluse - aspettative (per giunta non retribuite); narra, infatti, una leggenda scolastico-metropolitana che ad un extracomunitario (forse svizzero?) immigrato clandestinamente a Napoli, in seguito regolarizzatosi grazie ad una sanatoria ed ora cittadino italiano, siano state contestate, alla fine degli anni Novanta, oltre cento multe per sosta vietata, ma che egli abbia trovato un modo estremamente efficace per risolvere i suoi problemi senza dover ricorrere ai suoi pochi e sudaticci risparmi (a Napoli fa caldo). Interrogato da un solerte esperto di didattica del ministero che gli chiedeva come avesse fatto a risolvere tutti i suoi guai e a non pagare le multe pare che l'ex extracomunitario abbia risposto: “Semplice: auto no mia”.

Giovanni Navarra

 

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