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La mia scuola ideale

Volevo fare una bella figura, pensavo di poter contare sulla collaborazione dei miei due figli più grandi per scrivere queste riflessioni, ma le loro risposte alla domanda: “Che scuola vorresti?” sono state: “Non andare più a scuola ed imparare tutto dalla televisione” (Jacopo, 10 anni, quarta elementare), seguito a ruota da Marcello, 7 anni e mezzo, classe seconda: “Poter chiacchierare sempre e fare i birichini…”. Che vergogna, che oltraggio per una madre insegnante!
Considerato lo scarso contributo dei due reietti, ho immaginato il pensiero di Gregorio, tre mesi e mezzo e ancora troppo preso da problemi di altra natura per dire la sua in materia e quindi incapace di farmi fare altre figuracce. Mi viene spontaneo pensare per lui ad una scuola aperta, una specie di catapulta per il mondo, con una valigia al posto dello zainetto e come compito in classe un diario di viaggio, dove imparare faccia rima con esplorare e genitori ed insegnanti aiutino gli alunni a mettere le ali ai piedi ed alla mente. E visto che anche Marco Polo fra un viaggio e l'altro tornava a casa sua, sarebbe bello non perdere di vista le relazioni quotidiane, anche quelle che richiedono fatica e che mettono in crisi diverse nostre consolidate certezze perché, piaccia o no, la scuola è il posto dove per anni si passa la maggior parte del proprio tempo e dove bisogna fare i conti con una gamma infinita di situazioni e sentimenti concentrati tutti in un unico contesto. Penso alle relazioni con i compagni disabili, con quelli immigrati, al rispetto delle differenze di sesso e di sensibilità, ad una scuola dove si vada volentieri perché ci si sente accolti e soprattutto dove la rigidità di certi educatori lasci il posto alla ricettività creativa dei bambini e delle bambine.


Come un flashback mi ritornano alla mente alcuni opinabili comportamenti della mia maestra delle elementari che aveva in testa il suo modo di insegnare e non c'era verso di farle cambiare idea e che come punizione ai miei misfatti era solita spedirmi in una classe tutta maschile, con mia grande soddisfazione e senso di liberazione da una massa di bambine da cui non vedevo l'ora di scappare! Forse se quella maestra mi avesse parlato un po' di più invece di infliggermi sanzioni come il più severo dei giustizieri oggi ne conserverei un ricordo più dolce, pur riconoscendo che anche grazie a lei ho maturato negli anni l'idea sempre più radicata di come la scuola non deve essere. Per ironia della sorte e ineluttabile legge del contrappasso, adesso sono io che siedo dietro (ma più spesso sopra) la cattedra, con la convinzione e con la presunzione di svolgere questo mestiere in maniera quantomeno passabile, ma le mie sicurezze vengono puntualmente smentite dalla quotidiana realtà dei fatti, perché le nozioni da sole non bastano più e diventa sempre più difficile farle arrivare a destinazione con successo.
Ecco perché mi piace immaginare per Gregorio ed i suoi amici una scuola in cui i banchi, anziché essere disposti in modo orizzontale, siano impilati l'uno sull'altro per raccontarsi a turno che cosa si vede fuori dalla finestra e al di là delle montagne, lasciando ai versi di Gianni Rodari una sintesi efficace degli obiettivi che propongo di inserire nel POF delle mia scuola ideale.

Una scuola grande come il mondo

C'è una scuola grande come il mondo.
Ci insegnano maestri, professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così. (...)
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso.

(da Il libro degli errori, Gianni Rodari, Einaudi, Torino, 1964)

 

Serena Del Vecchio

 

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