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A che gioco giocano?

Giochiamoci l'Europa, spiritoso titolo di un articolo della sezione Pratiques, poteva costituire il messaggio sintetico della copertina per questo numero. Le attuali difficoltà politiche ed economiche dell'Unione Europea però ne potevano consentire una lettura più polemica che ironica, abbiamo dunque preferito lanciare dalla copertina un invito al coinvolgimento, alla partecipazione per la costruzione di una visione europea comune, che intendiamo tesa “alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della terra, alla solidarietà, al rispetto reciproco dei popoli, al commercio libero e equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei minori” (art.3, Prima Parte del Trattato costituzionale).
La formulazione linguistica del messaggio in questione intendeva anche occhieggiare all'altro tema che percorre questo numero, il gioco. “Mettersi in gioco” è un atteggiamento ben noto agli insegnanti: fa parte del nostro mestiere essere, non semplicemente stare, con i ragazzi. L'autenticità è la cifra di ogni proposta educativa. Così come la voglia di giocare, al di fuori degli schemi e delle indicazioni suggerite dagli insegnanti, anima e muove i nostri alunni. Giocando si diventa grandi, forse proprio sperimentandosi e misurandosi con i giochi nascosti, quelli che a ondate successive si impongono, arrivando dalla tv, col passa parola, via internet. Quali sono oggi i giochi che attraggono, che intrigano, che consentono ai giovani di fare palestra di vita all'interno di regole accettate come vincolanti ed illusorie al tempo stesso? Proprio mentre stavamo impostando questo numero e avevamo già scelto, per illustrarne alcune pagine, le belle e rassicuranti immagini della mostra “Tatà, pouette, borioule”, ho letto due articoli sui videogame, di Mario Pirani sul Grand Theft Auto San Andreas e di Philippe Gavi sui SIMS, simulatori di vita.
Il primo gioco presenta alcune gang che si contendono il controllo di una città: il punteggio dei giocatori è determinato dalle missioni che portano a termine,
i punti si acquisiscono in base all'uso delle armi, alla resistenza ai colpi, al sex-appeal. La grafica è iper realistica: sangue rosso fuoco si sparge sullo schermo quando un avversario viene tagliato in due con una motosega; il linguaggio particolarmente scurrile.
La seconda tipologia di giochi, invece, continua e dilata la formula del Tamagoci: ogni giocatore crea e fa vivere una serie di personaggi, che hanno una vita biologica, un patrimonio genetico da trasmettere e delle aspirazioni. Occorre gestire il mondo creato: seguire i livelli di pulizia, socialità, popolarità, energia. Se non ci si occupa seriamente di un bambino i servizi sociali lo tolgono alla famiglia, se il personaggio si dimentica di svuotare la pattumiera avrà la casa invasa dagli scarafaggi.
Ho chiesto in classe ai miei alunni di seconda media se conoscessero questi videogame e ho aperto una porta segreta. Scopro che la maggior parte dei ragazzi si ritrova al pomeriggio proprio per giocare al San Andreas, peraltro conosciuto anche da alcune ragazze; che almeno cinque di loro possiede dei SIMS e si è già stancato di giocarci, pur dichiarando di essersi divertito molto a vedere uno dei personaggi far pipi sul tappeto di casa perché da più di dieci ore non riceveva il comando di andare in bagno! Mi chiedono: “Ma prof come fa a sapere queste cose?” Mi portano riviste specializzate che presentano e valutano i giochi, in base a criteri di grafica, giocabilità, velocità, stretti in cerchio, sfogliano e si scambiano commenti e valutazioni in un gergo per me quasi incomprensibile. Capiscono e sanno altro da me.
Un altro gioco, qualche anno fa, si era imposto in una classe e serpeggiava sotto i banchi.
Il Grande fratello dominava la scena, le prime nomination tenevano il pubblico con il fiato sospeso: un gruppo di ragazze aveva pensato bene di organizzare in classe delle esclusioni progressive per arrivare a proclamare vincitore la/il ragazza/o più affascinante della classe.
I “nominati” ovviamente erano i ragazzi meno accettati in classe, mentre gli aspiranti vincitori blandivano i loro fans alla ricerca di voti.
Che dire? Serge Tisseron, psicoanalista, afferma:
“I ragazzi cercano la possibilità di travestirsi, di proiettarsi in ruoli diversi da quelli dei propri genitori. L'identità non è più qualcosa di stabile, unico, diventa una giustapposizione di diverse facce con le quali si può giocare liberamente”. Al tempo stesso preoccupa l'amoralità di alcuni giochi e l'illusione di onnipotenza che la gestione di mondi paralleli può indurre nei ragazzi.
Di certo, come sempre, i giovani cercano spazi privatissimi di crescita, funzionali al loro desiderio di essere altro da noi e di diventare futuri cittadini del mondo che verrà, per ora difficilmente definibile.

Con questo numero Agnese Molinaro termina, la sua attività in redazione, abbiamo lavorato bene insieme. Buona fortuna a lei e a chi la sostituirà.
L'anno scolastico sta per iniziare, giochiamocelo bene!

Giovanna Sampietro

 

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