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L'ingresso precoce dei giovani nel mondo del lavoro

L’evoluzione delle norme per tutelare il lavoro minorile ha portato il legislatore a privilegiare una formazione professionale attraverso percorsi di istruzione e formazione adeguati a situazioni lavorative sempre più complesse.


La condizione di oggettiva debolezza dei minori e, in particolare, dei bambini rispetto alla prestazione lavorativa è un argomento che ha sempre suscitato preoccupazione per le sue importanti conseguenze sociali.
Fra i primi interventi dello Stato nel campo del lavoro minorile è utile ricordare una legge del 1886 che stabilì l’età minima di ammissione al lavoro a nove anni, poi portata a dodici anni da un successivo intervento legislativo del 1907.
Sono limiti di età distanti dalla sensibilità attuale e che devono essere collocati nel contesto storico di allora, anche se non bisogna dimenticare che in realtà contemporanee, geograficamente lontane e soprattutto con diverso livello di sviluppo economico e sociale, lo sfruttamento del lavoro dei bambini è ancora un fenomeno grave, quantitativamente importante ed attuale.
Le impostazioni degli interventi per tutelare il lavoro minorile non sono molto cambiate rispetto al passato: le norme attualmente in vigore stabiliscono divieti, che prevedono sanzioni anche penali, che hanno il compito prima di tutto di impedire lo svolgimento di attività lavorativa al di sotto di una determinata soglia di età, secondariamente di salvaguardare il giovane di età compresa fra i 15 anni compiuti ed i 18 anni da compiere, da attività lavorative particolarmente pericolose o faticose per impegno fisico, durata o tipologia di orario di lavoro.
Un’altra finalità, perseguita dalle norme di protezione e tutela del lavoro dei minori, si propone di rendere possibile la crescita culturale, civile e professionale di bambini e giovani attraverso la partecipazione a percorsi di istruzione scolastica e di formazione professionale, prima di entrare nel mondo del lavoro.
Le indicazioni normative al momento attuale sono le seguenti:
Età per l’ammissione al lavoro
In adempimento di quanto previsto dall’articolo 37 della Costituzione e dalla Legge 977/1977 l’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore a quindici anni compiuti.
Lavori vietati
Oltre a tutti i lavori vietati previsti dalla Convenzione n. 182 dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), che comprende tipologie particolarmente gravi come schiavitù, lavoro forzato, servitù per debiti, attività illecite, ecc., sono vietate le mansioni che espongono i minori agli agenti biologici, fisici e chimici e ad una serie di processi e lavori pericolosi e/o pesanti.
Nel caso di attività collegate a percorsi didattici o di formazione professionale, sotto la sorveglianza di formatori esperti e solo per il tempo strettamente necessario, può essere autorizzato dagli organi di prevenzione competenti lo svolgimento di attività in settori o mansioni vietate.
Visita medica
L’ammissione al lavoro dei minori è consentita purché siano riconosciuti idonei a seguito di visita medica da effettuarsi, a cura e spese del datore di lavoro, presso un medico del Servizio sanitario nazionale. L’idoneità lavorativa deve essere successivamente accertata a seguito di visite mediche periodiche da effettuarsi ad intervalli non superiori all’anno.
Nel caso in cui il medico ritenga che l’adolescente non sia idoneo a tutti i lavori, deve specificare nel certificato i lavori ai quali lo stesso può essere adibito.
Orario di lavoro
L’orario di lavoro dei minori di età compresa fra i 15 ed i 18 anni non può superare le 8 ore giornaliere e le 40 ore settimanali.
È vietato adibire i minori al lavoro notturno, intendendosi per notte un periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l’intervallo fra le ore 22 e le ore 6 o tra le ore 23 e le ore 7.
Ai minori deve essere assicurato un periodo di riposo settimanale di almeno due giorni, se possibili consecutivi e comprendente la domenica. Nel settore turistico, alberghiero o della ristorazione il riposo settimanale può essere concesso anche in un giorno diverso dalla domenica.
All’azione dei “divieti”, che colpiscono con sanzioni imprese e datori di lavoro che occupano bambini e minori, si affianca, per i giovani e le loro famiglie, il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione professionale, fino al completamento di un percorso che prevede, prima l’obbligo scolastico, e poi la partecipazione ad attività formative o equivalenti fino ai diciotto anni.
Lo schema di decreto legislativo concernente il “Diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera c della legge 28 marzo 2003, n. 53” approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione di venerdì 21 maggio 2004, in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, in particolare al comma 1 dell’articolo 8 “Gradualità dell’attuazione del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione” prevede, infatti l’innalzamento ai sedici anni mediante la frequenza ai primi due anni degli istituti secondari superiori.
Un secondo schema di decreto relativo alla “Definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, ai sensi dell’art. 4 della legge 28/03 n.53”, prevede inoltre che i giovani che hanno compiuto 15 anni possano adempiere al dovere di istruzione e formazione nel “secondo canale”, attraverso l’alternanza di studio e di lavoro.
È chiara la volontà del legislatore di voler preparare i giovani all’ingresso nel mondo del lavoro attraverso istruzione e formazione, dotandoli di strumenti di conoscenza generale adeguati e di una preparazione professionale orientata all’inserimento nel mercato del lavoro.
I canali previsti sono: l’istruzione, la formazione professionale e l’apprendistato.
L’apprendistato è uno strumento di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani; dopo un lungo periodo di sostanziale stabilità, l’unica norma che regolava la materia era la legge n. 25 del lontano 19 gennaio 1995, è stato oggetto, in tempi recenti, di ben due interventi normativi, la legge 196/97 e il decreto legislativo 276/2003.
Gli interventi legislativi di aggiornamento e modifica sono stati necessari per raggiungere due risultati importanti, anche in considerazione dell’evoluzione del mercato del lavoro:
1. ampliare l’utilizzo dell’apprendistato come porta di ingresso nel mondo lavorativo, spostando in avanti nel tempo, da venti fino a ventinove anni, il termine ultimo entro cui può iniziare un rapporto di lavoro come apprendista;
2. rafforzare i contenuti formativi del rapporto di lavoro di apprendistato, attraverso l’aumento del numero di ore di formazione annua da erogare all’apprendista, anche all’esterno del luogo di lavoro, e regolamentando i contenuti della formazione stessa.
Sono innovazioni importanti che hanno arricchito l’istituto in questione, modificando l’interpretazione che se ne dava in passato, quando per apprendistato si intendeva un’esperienza lavorativa che consentiva di imparare un “mestiere” attraverso l’esecuzione pratica di attività produttive sempre più complesse sotto la guida di un lavoratore esperto.
Attualmente sono previste tre forme di apprendistato:
1) l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, che può iniziare a partire dai quindici anni compiuti;
2) l’apprendistato professionalizzante per i giovani fra i diciotto e i ventinove anni;
3) l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, riservato ai giovani fra i diciotto e i ventinove anni e che può consentire il conseguimento di un titolo di studio.
Si tratta di innovazioni normative recenti per le quali devono essere ancora predisposti i provvedimenti attuativi, ma è evidente l’allungamento notevole della fase di preparazione all’ingresso nel mercato del lavoro.
Nel caso in cui il giovane, per difficoltà o disagi nel percorso di istruzione, per sfiducia rispetto all’utilità dei percorsi scolastici ai fini dell’inserimento nel mondo del lavoro, per esigenze anche economiche del nucleo familiare o per altri motivi, desideri entrare nel mondo del lavoro prima dei 18 anni, deve tenere presente che questo ingresso è possibile nel rispetto del diritto-dovere dell’obbligo formativo, quindi attraverso percorsi di formazione professionale, percorsi integrati fra scuola, formazione ed orientamento o attraverso l’instaurazione di un rapporto di lavoro di apprendistato.
Sono possibili altre soluzioni come rapporti di lavoro ordinari, ma solo a condizione che non ostacolino il rispetto dell’obbligo formativo, mentre possono essere di grande utilità tirocini o stage: si tratta di esperienze in situazione lavorativa, senza l’instaurazione di un rapporto di lavoro, che hanno lo scopo di consentire al partecipante di arricchire le proprie conoscenze. In genere, i tirocini sono finalizzati a completare un’esperienza formativa, i “tirocini formativi”, oppure a svolgere una funzione orientativa, i “tirocini di orientamento”, oppure a sperimentare la possibilità di un inserimento al lavoro, i “tirocini di inserimento lavorativo”. Sono modalità di avvicinamento al lavoro regolamentate per legge e devono avvenire sotto il controllo dei servizi pubblici per l’impiego o di enti e organismi autorizzati come istituzioni scolastiche e centri di formazione.
In verità, le limitate conoscenze professionali, la fase evolutiva del comportamento, gli stretti vincoli stabiliti dalla legge per la tutela dei minori non facilitano un ingresso precoce nel mercato del lavoro, nell’occupazione regolare. Si tratta di limitazioni oggettive, che restringono le occasioni di lavoro disponibili a mansioni semplici che possono essere interessanti solo come esperienze transitorie, ma a questo livello è più utile l’inserimento in percorsi di orientamento al lavoro o di formazione professionale.
Inoltre, per le valutazioni espresse in precedenza rispetto alla limitata qualità e al numero ridotto di opportunità presenti nel mercato del lavoro ordinario, restano validi l’inserimento nel mondo del lavoro e l’inizio di una carriera professionale attraverso l’apprendistato, strumento rafforzato e aggiornato, soprattutto per la parte di formazione professionale svolta all’esterno dell’azienda, e riconosciuta come canale per adempiere al diritto-dovere all’istruzione e alla formazione.
Anche nella realtà valdostana l’apprendistato ha visto aumentare la propria importanza: i minori fra quindici e diciotto anni assunti come apprendisti sono 202 su un totale di 2430, con un peso percentuale pari all’8%. A questo dato è opportuno affiancare il dato riferito alla percentuale di occupati in Valle d’Aosta con meno di venti anni che è pari al 2% del totale occupati. Queste informazioni sintetiche consentono di affermare che, nel complesso, il fenomeno dell’ingresso precoce dei giovani nel mercato del lavoro regolare non è particolarmente diffuso.
Restano preoccupazioni per altri due aspetti: gli infortuni sul lavoro dei giovani e il lavoro irregolare o sommerso. Per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro i dati regionali disponibili relativi ai giovani occupati, con meno di 20 anni, segnalano una frequenza di incidenti pari all’8,9%, mentre la media di infortuni dei lavoratori occupati delle fasce di età superiore è pari al 4,6%. È da segnalare inoltre, che la tipologia degli incidenti è generalmente meno grave per i lavoratori più giovani.
Al di là dei numeri, tutti devono essere consapevoli che la sicurezza sul lavoro è importante e che azioni di informazione e formazione devono accompagnare le misure di prevenzione, come sempre quando si tratta di aspetti legati alla salute delle persone.
Qualche considerazione sul lavoro irregolare, che, per sua natura, è difficilmente misurabile.
Per quanto riguarda la situazione italiana la quantificazione del fenomeno oscilla dai 365.000 minori coinvolti, secondo fonti sindacali che con giusta preoccupazione cercano di evidenziare il fenomeno, a stime ISTAT che parlano di 144.000 unità, per finire a valutazioni recenti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che stimano in 31.500 i casi di sfruttamento vero e proprio.
Ovviamente riportare questi numeri alla Valle d’Aosta può ingenerare confusione per la percentuale di errore delle stime riferita a piccoli numeri.
I dati relativi alla Valle d’Aosta, in realtà, ci sono, ma sono poco attendibili per il divario esistente fra la stima di una ricerca promossa dalla CGIL a livello nazionale di 408 bambini coinvolti in lavoro irregolare in Valle d’Aosta e il numero ridottissimo di violazioni riscontrate dall’Ispettorato del lavoro, che svolge attività di vigilanza specifica sull’argomento. In generale, nel valutare le esperienze di lavoro irregolare dei minori, non bisogna drammatizzare episodi di coinvolgimento in forme di collaborazione ad attività familiari o comunque circoscritte ed episodiche, mentre occorre prestare grande attenzione alle situazioni caratterizzate da coercizione, intensità dell’impegno fisico, esposizione a rischi o pericoli e in cui si realizza lo sfruttamento del bambino o minore e gli si impedisce il completamento dei percorsi di istruzione e formazione.
In conclusione, sono da preferire tutte le forme di esperienza lavorativa che, oltre ad essere collocate in una situazione di regolarità e sicurezza, siano inserite in percorsi che accompagnino alla sperimentazione del lavoro l’arricchimento professionale, ridimensionando, se possibile, il valore del mero aspetto economico immediato.

Mauro Fioravanti
Coordinatore del Dipartimento delle politiche del Lavoro dell’Assessorato
Attività Produttive e Politiche del Lavoro della Regione Valle d’Aosta.

Bibliografia
LUCIANO A., (1999), Imparare lavorando, UTET libreria.
ISFOL, (2001), Inclusione ed esclusione, Ritratto di una generazione di giovani alle soglie del 2000, Franco Angeli.
ISFOL, (2004), Un ponte fra formazione e impresa, Rapporto apprendistato 2003, Franco Angeli.

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