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Gestualità e concettualizzazione in matematica

Abbiamo incontrato un'insegnante che nell'a. s. 2002/2003 ha vinto una borsa di ricerca indetta dall'IRRE-VDA e Università della Valle d'Aosta presentando un progetto sul rapporto esistente tra gesto e parola. L'IRRE-VDA, a breve, pubblicherà il rapporto di ricerca.

Perché hai scelto il tema della gestualità legato ad un concetto per la tua ricerca?
Da più di dieci anni la gestualità mi è sembrata importante per cogliere quello che i bambini pensano, non solo per poter impostare l'attività didattica a partire dalle loro conoscenze, ma anche per poter valutare correttamente i loro apprendimenti.
Il problema della gestualità occupa all'interno della scuola un'importanza diversa a seconda del grado scolare: nella scuola materna è ovvio che i bambini si esprimano soprattutto con il corpo; nei primi anni della scuola elementare si accetta o si tollera che si affianchino ad attività puramente scolastiche la possibilità di muoversi, ma a partire dalla scuola media si scoraggia sempre di più l'espressione non verbale (in attività disciplinari) a favore della parola.
Numerosi sono gli studi che tendono a dimostrare che ci sono delle correlazioni molto strette tra il gesto e la parola. Queste ricerche permettono di dare significato ad alcune osservazioni che si possono facilmente fare nelle classi delle scuole elementari. I bambini usano i gesti legati ai concetti in due modi distinti.
Nel primo caso i gesti sono adeguati ad esemplificare quello che vogliono dire: questo avviene tutte le volte in cui ricorrono alla gestualità per meglio chiarire un'idea. Sovente questi gesti sono legati ai concetti spaziali. Per sottolineare cosa si intende per orizzontale o per verticale, un gesto della mano può benissimo sopperire ad una terminologia che a volte non si ricorda con sicurezza. In questo caso il gesto è inteso dal bambino, ma lo stesso avviene anche per l'adulto, come un linguaggio universale.
Nel secondo caso, invece, i gesti non sono adeguati al concetto di cui si sta trattando e rivelano la presenza di misconcetti: questo avviene quando ci si trova di fronte ad un problema da risolvere di cui non si conosce la modalità di soluzione. I gesti che i bambini fanno nell'andare a tentoni per cercare di risolverlo mettono in luce, a volte, come i loro concetti siano ancora molto lontani da quelli degli adulti.

Puoi farci alcuni esempi per capire meglio questo punto?
Vi sono dei bambini, soprattutto in classe prima ma, per quelli in difficoltà, anche in seconda ed oltre che, quando si chiede loro di far vedere un determinato numero di dita, devono sempre contarle partendo da uno. Se si chiede loro, per dieci volte consecutive, di alzarne per esempio otto, li si vede per dieci volte ripartire da uno e contare fino a raggiungere il numero richiesto; la presentazione delle otto dita non è mai immediata, neanche dopo un numero, che noi giudichiamo elevato, di volte che la richiesta viene fatta. Come interpretare questo fatto? Si tratta di difficoltà di memorizzazione o c'è dell'altro? Un'ipotesi che può spiegare questa modalità di comportamento è che abbiano una conoscenza dei numeri basata esclusivamente, o quasi, sull'ordinalità. Dei tre aspetti sottolineati anche dai programmi, ordinalità, cardinalità e misura, l'unico che per loro ha costruito significato è stato il primo. È quindi per loro impossibile pensare al numero otto se non lo collocano dopo il sette, che viene dopo il sei, che viene dopo il cinque e così via. Per questi stessi bambini il calcolare sulle dita è un dramma: se devono fare una somma, dopo che hanno, con gran fatica, alzato le dita corrispondenti al primo termine, come fare per ripartire da uno e aggiungere il secondo termine senza necessariamente cancellare il primo? Non hanno, di fronte ad una situazione che trarrebbe utilità dal pensare al numero nel suo aspetto cardinale, gli strumenti concettuali per poter operare.
Il concetto di divisione, in matematica, sottintende che le parti ottenute siano uguali; sono molti i bambini, ancora in classe terza, che non sono per niente disturbati dal fatto di ottenere due parti di diversa grandezza quando dividono un foglio a metà.
Le difficoltà che i bambini incontrano nel camminare sulla linea dei numeri (attività comune in tante prime e seconde classi) mette in luce che i concetti che vengono messi in gioco sono tanti e complessi. Se si chiede di andare dal numero 0 al numero 3, la scrittura 0 + 3 = 3, spinge a pensare ad una addizione tra quantità; in realtà quello che si chiede ai bambini di fare, anche fisicamente, è di misurare la distanza tra lo 0 e il numero 3, prendendo come unità di misura il passo.
L'attenzione a questa forma di gestualità può permettere all'insegnante: di cogliere la complessità di quanto si richiede ai bambini; di cogliere lo scarto tra la concettualizzazione loro e quella implicita nelle richieste didattiche; di osservare eventuali cambiamenti e maturazioni.
Molti termini matematici e scientifici si sentono per la prima volta a scuola e la responsabilità dell'insegnante che decide quali offerte fare per costruire il concetto è davvero molto grande. Ci deve essere quindi spazio per una gestualità necessaria e prevista che àncori il significato del concetto ad azioni che si fissino nella memoria.

BRI - Borse di ricerca per insegnanti

Il progetto BRI - borse di ricerca per insegnanti - è nato con l'obiettivo di sperimentare una forma innovativa di sviluppo della professionalità degli insegnanti e la creazione di un sistema di formazione della professionalità docente attraverso la ricerca-formazione; l'iniziativa ha costituito inoltre per l'IRRE un primo terreno di collaborazione con l'Università della Valle d'Aosta.
Il progetto consisteva nell'attribuzione, in base ai criteri stabiliti nel bando di concorso, di alcune borse di ricerca per consentire ai vincitori di sperimentare un percorso di ricerca sul campo, usufruendo dell'accompagnamento di un tutor esperto di metodologia della ricerca-formazione e di un supervisore esperto nell'ambito disciplinare di riferimento.
Per l'anno scolastico 2002-2003 sono stati realizzati due progetti di ricerca : la prima "Gestualità e concettualizzazione in matematica" condotta dall'insegnante Graziella Telatin dell'Istituzione scolastica Comunità Montana Mont-Rose A, supervisore Stefano Cacciamani dell'Università della Valle d'Aosta, tutor Fulvia Dematteis dell'IRRE-VDA; la seconda borsa di ricerca "I mondi della disabilità e dell'handicap e le stereotipie della comunicazione sulle differenze" è stata realizzata dall'insegnante Daria Pulz dell'Istituzione scolastica di istruzione scientifica e magistrale Liceo delle scienze sociali di Verrès, supervisore Fulvia Ortalda dell'Università della Valle d'Aosta, tutor Germano Dionisi dell'IRRE-VDA.
Le finalità generali del progetto BRI erano centrate su alcuni punti di attenzione che si possono così riassumere:
- sviluppare la ricerca ancorata al lavoro in classe;
- accrescere la padronanza dell'azione didattica attraverso la ricerca educativa;
- creare nelle istituzioni scolastiche figure esperte nel campo della ricerca educativa;
- migliorare l'apprendimento degli alunni attraverso una maggiore consapevolezza, da parte dei docenti, della natura dei processi di interazione educativa e didattica;
- promuovere e realizzare collaborazioni istituzionali.

Quale impostazione metodologica hai seguito?
L'ipotesi da cui è partito questo lavoro di ricerca è che la gestualità, se ben finalizzata nell'attività didattica, possa avere un duplice vantaggio: può permettere all'insegnante di intuire il grado di concettualizzazione a cui sono pervenuti i bambini in matematica e può inoltre favorire una migliore memorizzazione dell'adeguata terminologia scientifica che deve far parte del bagaglio culturale degli alunni, nelle due lingue.
I bambini possono sapere, ad esempio, quali sono le caratteristiche di un segmento ma avere delle difficoltà a ricordarsi che si chiama così; delle attività che colleghino il linguaggio scientifico al movimento possono favorire una sua più facile memorizzazione.
Queste due ipotesi si collocano su piani diversi. La prima riguarda l'attività dell'insegnante che, tramite l'osservazione, deve poter determinare il punto di partenza dei bambini, per poter impostare correttamente la propria attività didattica.
La seconda riguarda l'attività del bambino e si concretizza in un obiettivo di apprendimento. I due piani sono strettamente collegati tra loro perché, se è vero che l'insegnante può intuire la conoscenza attraverso il gesto, allora deve favorire una gestualità che aiuti la concettualizzazione.
La ricerca si è sviluppata in due classi elementari: una 1a ed una 5a. Nelle classi nelle quali si è attuata la ricerca il metodo adottato è il lavoro per problemi. Questi permettono di fare emergere quello che i bambini sanno già dell'argomento affrontato e quindi di intervenire per costruire insieme un sapere matematico. Inoltre il problema dà senso all'attività del bambino, lo pone in una situazione di ricerca creativa e gli permette di esporre e sostenere le proprie idee, rendendolo un soggetto attivo nel processo di apprendimento.
Questo tipo di lavoro presuppone che l'insegnante, individuato il concetto sul quale intende lavorare, pensi ad una batteria di problemi che ne possano far emergere le caratteristiche.
Posso dire, per quanto riguarda la classe prima, che l'utilizzo di problemi, in cui la gestualità degli alunni era coinvolta direttamente in forma di azioni da mettere in atto per affrontare la problematicità della situazione, mi ha consentito di individuare il livello di concettualizzazione raggiunto dal bambino, mediante un lavoro di osservazione delle strategie utilizzate.
Per quanto riguarda la classe quinta, l'attività didattica proposta ha migliorato le prestazioni dei bambini anche se i bambini con difficoltà di memorizzazione hanno continuato ad avere dei problemi di questo tipo. Gli alunni sono diventati sempre più attenti a far corrispondere un gesto adeguato al concetto che intendevano mimare. La necessità di giustificare verbalmente il gesto fatto ha spinto ad una riflessione a priori sul proprio operato e ad un'analisi a posteriori sul risultato ottenuto.

Quali importanti dati emergono alla fine di questa ricerca?
A me sembra che alcune condizioni siano necessarie perché l'osservazione risulti efficace. Innanzi tutto, mi sono accorta che la capacità dell'insegnante migliora con la conoscenza che ha della materia di insegnamento; da qui, la necessità di un auto aggiornamento continuo che gli permetta di cogliere le sfumature di significato che i bambini possono far emergere.
È importante riuscire a costruire una situazione ricca di significato, un problema, una storia, un esercizio o altro, che permetta al bambino di agire, di fare delle ipotesi, di discutere con i compagni, di condividere con gli altri quanto ha appreso.
È difficile, ma fondamentale, controllare le proprie emozioni per evitare di condizionare i bambini con esclamazioni, domande che indirizzano le risposte, espressioni del viso. Questo non significa essere assenti, anzi l'intervento dell'insegnante è spesso essenziale. Solo lui, infatti, può creare un clima favorevole al lavoro e al confronto tra i bambini per generare uno sviluppo cognitivo.
Questa ricerca, che era partita sulla gestualità dei bambini, è approdata all'attenzione al loro linguaggio. Se i gesti permettono di vedere le conoscenze che ci sono alla base, e il gioco del mimo ha evidenziato che il gesto può mettere in evidenza quello che si pensa, la parola è il punto di arrivo di un percorso di pensiero. La parola che viene associata ad un gesto vi resta fortemente vincolata. È nel confronto dei significati attribuiti sia al gesto sia alla parola, che si può riflettere su quello che si sa e modificare le proprie conoscenze. I due momenti quindi, quello della gestualità e quello della discussione, sono entrambi importanti.
Durante questa ricerca sono emersi alcuni punti che esulano dai semplici risultati, ma che sono estremamente importanti. Vi sono stati dei comportamenti e delle pratiche che si sono messe in atto che sono state significative sia per me sia per l'alunno. Ho dovuto creare un clima di rispetto profondo per le azioni compiute dal bambino; osservando ogni piccolo movimento e chiedermi che significato avesse. Ho dovuto prendere l'abitudine di fare continuamente delle ipotesi su quello che osservavo cercando poi degli strumenti adatti a verificarle. Ho dovuto inoltre cercare di attribuire un significato ai gesti per poter controllare se vi era uno scarto concettuale tra quello che si mostrava con la gestualità e quello che si dichiarava a parole. Ho dovuto infine cercare di adeguare la mia proposta didattica per far evolvere i concetti, tenendo conto del punto di partenza del bambino.
Per il bambino tutto questo ha significato: essere sollecitato ad agire; essere libero di esprimersi con il corpo; sentire la necessità ed avere la possibilità di confrontarsi con gli altri. La riflessione avveniva su delle pratiche che erano state comuni a tutta la classe e sulle quali quindi tutti avevano qualcosa da dire. L'alunno ha avuto la possibilità di riflettere sulle proprie azioni, pratica metacognitiva che diventa alla lunga, un automatismo.
Tutto ciò ha permesso di lavorare in un clima sereno e piacevole e di divertirsi, e questo, in una scuola da cui troppo spesso le emozioni sono bandite, è un risultato nient'affatto disprezzabile.

La redazione intervista Graziella Telatin
Insegnante alla Scuola Elementare di Donnas cap. - Istituzione Scolastica Comunità Montana
Mont-Rose A e borsista di ricerca IRRE-BRI.

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