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Un ecosistema grandioso e fragile

La prima foto è stata scattata da quota 3500 m; la forte quota permette di abbracciare con un solo sguardo un’ampia zona della regione valdostana: sullo sfondo, a destra si distende l’ampio ghiacciaio del Ruitor mentre al centro si innalza il massiccio del Gran Paradiso e l’ardita piramide della Grivola. Quasi a picco, duemila metri sotto di noi, si apre il solco della Dora Baltea a cui affluiscono da destra e da sinistra i due rami sorgentiferi che raccolgono le acque del Monte Bianco: la Dora della Val Veny, e quella della Val Ferret.

In questa inquadratura è ben visibile l’ampiezza e l’imponenza della massa montuosa che costituisce il territorio a confronto delle esigue dimensioni del fondovalle: un solco profondo, modellato dai grandi ghiacciai antichi che a fatica si facevano strada erodendo le rocce delle gigantesche montagne che li fiancheggiavano. Nella foto, ben si vede che i centri abitati sorgono esclusivamente sul fondovalle del grande solco che fu l’alveo dell’antico ghiacciaio. La stessa cosa avviene nel resto del territorio valdostano ove quasi tutti i villaggi, i borghi e le città sono posti sui fondovalli pianeggianti della valle principale e di quelle secondarie, opera del modellamento glaciale. Ma il terreno pianeggiante dei fondovalle, pressoché l’unico ad essere adatto all’insediamento umano, risulta essere una parte molto piccola della nostra superficie territoriale: appena il 10%! Tanto nella valle della Dora Baltea quanto in quelle dei suoi affluenti queste esigue strisce di pianura sono inquadrate da grandi versanti montuosi; con la loro ripidità essi respingo gli insediamenti dell’uomo e si innalzano fino alle più eccelse altitudini ricoperti nelle zone più basse dai boschi, poi dalla sorprendente vegetazione nana dei pascoli d’alta quota, e alle grandi altitudini, dalle nevi perenni e dai ghiacciai. Ben il 90% del territorio valdostano è costituito da questo ecosistema che è insieme grandioso e fragile. I due caratteri paiono fra loro contrastanti ma ambedue sono dovuti ai grandi dislivelli e alla ripidità dei versanti che la massa montuosa presenta.

La cosa è evidente nella prima foto ove è inquadrato l’abitato di Courmayeur. Esso sorge all’altitudine di 1200 m; lo dominano ripidi versanti le cui creste raggiungono circa i 3000 m. In testata di valle si erge il massiccio del Monte Bianco, inquadrato nella seconda foto, con numerose vette che superano la quota di 4000 m. La forte altitudine espone vette e creste a violenti fenomeni meteorologici che accelerano l’erosione delle rocce: radiazione solare molto intensa; gelo notturno; frequenti violentissime bufere. I dislivelli grandiosi originano una forte "energia del rilievo", vale a dire una accentuata azione della forza di gravità per cui gli equilibri delle rocce disgregate, delle coltri di neve e di ghiaccio diventano insicuri mentre si centuplica la velocità e la forza erosiva delle acque selvagge e dei torrenti.

Il diuturno agire di queste forze silenziose ma enormemente potenti rende sempre precario l’equilibrio dei rilievi a forte energia e perciò l’ecosistema delle grandi montagne ha in se stesso un elevato grado di fragilità.

La popolazione deve sempre meglio prendere coscienza di questa realtà affinché i suoi interventi sul territorio si facciano particolarmente attenti a non turbare i fragili equilibri naturali e quindi a non provocare dissesti dalle gravi conseguenze proprio là ove i paesaggi sono più belli e più grandiosi.

Augusta Vittoria Cerutti
Docente di geografia dell’ambiente presso l’Università della Valle d’Aosta

 

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