4 - 2010

PRODUZIONI CASEARIE

Andrea BARMAZ, Simona ZENATO e Rita PRAMOTTON e LABORATORIO LATTE
Institut Agricole Régional e Servizio sviluppo produzioni agroalimentari e infrastrutture

La loro presenza non rappresenta di per sé un problema per la conformità igienico-sanitaria e la salubrità dei prodotti, ma influisce sulle loro caratteristiche qualitative

I BATTERI PROTEOLITICI DEL LATTE

Il Laboratorio Latte dell’Assessorato Agricoltura e Risorse naturali, nell’ambito della propria attività istituzionale, effettua giornalmente l’analisi per la determinazione del contenuto in proteolitici del latte di massa di bidoni e caldaie provenienti dai caseifici e dalle stalle del territorio regionale.

I microrganismi proteolitici hanno la caratteristica di idrolizzare le proteine; essi possono contaminare alimenti conservati a bassa temperatura in cui, trovando condizioni favorevoli allo sviluppo, proliferano scindendo le proteine in metaboliti secondari che possono alterare e danneggiare la qualità del prodotto. Anche i residui di latte che possono permanere dopo i lavaggi e i risciacqui delle attrezzature impiegate per la sua raccolta possono costituire un buon substrato per il loro sviluppo, diventando pertanto una potenziale fonte di contaminazione.

La presenza di microrganismi proteolitici nel latte, pur non rappresentando di per sé un problema per la conformità igienico-sanitaria e la salubrità dei prodotti, influisce in maniera considerevole sulle caratteristiche qualitative favorendo l’insorgenza non solo di odori e sapori sgradevoli (amaro, rancidità) sia nella materia prima che nei prodotti di trasformazione, ma anche determinando la comparsa di colorazioni atipiche e di altri difetti, quali screpolature della crosta dei formaggi nonché marciumi superficiali e in pasta.

Alla luce di ciò è possibile affermare che il grado di contaminazione dei batteri proteolitici di un campione di latte risulta essere, assieme alla conta microbica totale, un ottimo indicatore delle condizioni dell’ambiente in cui si lavora, delle corrette operazioni di lavaggio e risciacquo degli impianti di mungitura e di tutte le attrezzature che eventualmente entrano in contatto con il latte (bidoni, cisterne, secchi, ecc.).

In verità, poco si sa circa l’identità delle specie proteolitiche che possono essere presenti nel latte crudo destinato alla produzione del formaggio Fontina DOP. Per questa ragione è stato effettuato presso il laboratorio di microbiologia dell’Institut Agricole Régional, in collaborazione con il Laboratorio latte dell’Assessorato Agricoltura e Risorse naturali, uno studio per conoscere meglio la microflora proteolitica.

La conoscenza più dettagliata di questa popolazione microbica dovrebbe contribuire a individuare i fattori che ne favoriscono l’insediamento e quindi le azioni da mettere in atto preventivamente per limitarne la presenza nel latte, nonché i mezzi che possano rendere più efficaci le operazioni di sanitizzazione di impianti, attrezzature e locali.

Il protocollo sperimentale ha previsto l’isolamento di colonie batteriche provenienti da piastre di coltura fornite dal laboratorio dell’Assessorato che, nell’ambito della sua attività istituzionale, effettua giornalmente l’analisi per la determinazione del contenuto in proteolitici sul latte di massa di bidoni e caldaie provenienti dai caseifici e dalle stalle del territorio regionale.

La sperimentazione è stata condotta sul latte di caldaia proveniente da 26 produttori di Fontina DOP; i campionamenti sono iniziati nella primavera del 2009 e sono terminati nel mese di giugno dello stesso anno. I ceppi batterici identificati, mediante avanzate tecniche biomolecolari, hanno evidenziato la presenza di una microflora proteolitica costituita da sedici differenti specie appartenenti ai generi:
Chryseobacterium, Pseudomonas, Macrococcus, Stenotrophomonas, Candidatus, Microbacterium e Serratia (grafici 1 e 2).
 



 

La quasi totalità dei ceppi identificati, precisamente il 76%, è risultata appartenere ai generi Chryseobacterium e Pseudomonas con diverse specie, nessuna delle quali in numero tale da poterla considerare predominante.




Figura 1. Chryseobacterium su piastra Agar Latte


Chryseobacterium
(Fig. 1), il cui nome deriva dal greco chryseon e bakterion, letteralmente significa bastoncino giallo; è interessante notare, nell’ambito di questo genere, che alcune delle specie identificate nel latte valdostano come Chryseobacterium soli e C. bovis, considerate i principali agenti di alterazione del latte refrigerato, sono state ritrovate anche nel latte vaccino di aziende lattiero-casearie israeliane e sud africane.

Altre specie, come C. vrystaatense, C. joostei e Chryseobacterium haifense, sono state scoperte solo di recente e sono, quindi, ancora in fase di studio.
Più noto nell’ambito lattiero-caseario è il genere Pseudomonas (Fig. 2), il cui nome deriva dal greco pseudo che significa “variabile” e monas che significa “forma”. Il genere include batteri con elevate capacità di adattamento a svariati ambienti e temperature. Sono organismi con una temperatura ottimale di crescita compresa tra i 20°C e i 30°C, ma in grado di vivere e svilupparsi bene anche a temperature comprese tra i 0 e i 4°C. Il genere Pseudomonas possiede la particolare capacità di degradare un’ampia gamma di composti che sono difficilmente metabolizzati da altri microrganismi; questa caratteristica lo rende adattabile a svariati ambienti, quindi spesso difficile da contenere e debellare. Pseudomonas ha inoltre la capacità di riunirsi in comunità per formare dei biofilm batterici che aderiscono rapidamente ai materiali e, negli ambienti di produzione, alle attrezzature risultando resistente ai detergenti chimici comunemente utilizzati.
 


 

Figura 2. Pseudomonas fluorescens alla lampada di Wood e su piastra Agar Latte
















Un biofilm batterico è una pellicola viscosa costituita da un insieme di microrganismi in una matrice di polimeri organici che aderisce a una superficie; i microrganismi preferiscono, infatti, svilupparsi su una superficie piuttosto che in sospensione e nessun metallo (eccetto il rame), così come nessuna plastica, resiste alla colonizzazione batterica; il biofilm costituisce quindi un “serbatoio” costante di microrganismi molto resistenti alle procedure di detersione e sanificazione.

Alcune forme ascrivibili principalmente alla specie P. fluorescens, sono in grado di contaminare un ampio spettro di alimenti come pesce, carne, verdure, formaggi e di determinarne il deterioramento.




Figura 3. Serratia marcescens su Agar Latte

Pseudomonas synxanta e Pseudomonas fluorescens colorano, infatti, il latte di giallo-verde mentre Serratia marcescens provoca colorazione rosa (Fig. 3 e 4). Questo processo alterativo è dovuto alla produzione di pigmenti microbici come la prodigiosina, composto fluido di colore rosso sangue che viene rilasciato da Serratia quando il batterio muore.


 

 


 

Figura 4. Generi Serratia e Pseudomonas nel latte, colorazione naturale e fluorescenza osservata con la lampada di Wood


 

Tale peculiarità ha reso questo microrganismo protagonista di fenomeni insoliti quali l’apparente comparsa di macchie di "sangue" su cibi come pane, polenta, ostie.
Ad eccezione del genere Macrococcus che è stato isolato dal latte, gli altri sono stati ritrovati in ambienti diversi, quali acqua e suolo, e al loro proposito si hanno ancora poche notizie.




Fontina prodotta con eccesso
di proteolitici nel latte

Studi effettuati sulla resistenza termica dei batteri proteolitici hanno dimostrato che trattamenti termici moderati possono essere sufficienti ad impedirne lo sviluppo, ma l’impraticabilità di tali interventi nella filiera della Fontina DOP indica come l’accurata pulizia dell’ambiente di lavoro e delle attrezzature utilizzate rimanga di fatto il metodo di prevenzione più efficace per contrastare la proliferazione dei batteri proteolitici (Fig 5 e 6). A tale proposito, un recentissimo studio dell’INRA CEPIA di Nantes ha valutato la possibilità di eliminare i biofilm con detergenti enzimatici in alternativa ai trattamenti a base di soda; l’Institut Agricole Régional sta testando tali detergenti che sono proposti oltre che per la loro maggiore efficacia sui biofilm con conseguente abbattimento delle contaminazioni batteriche, anche perché sono meno aggressivi per l’operatore, non corrodono i materiali e sono facilmente degradabili, quindi con un basso impatto ambientale.


  

Fig. 5. Caldaia non correttamente pulita
 Fig. 6. Caldaia pulita

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