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Una vittima: la didattica

La scuola è un giovane che lascia la famiglia per vivere da solo: ha bisogno di libertà quanto di punti riferimento. È possibile un equilibrio tra le due cose?

La redazione de L'école valdôtaine mi ha proposto di trattare dell'Autonomia scolastica. Devo ammettere che ho non poche difficoltà a scrivere sull'argomento.
Intanto sulla questione sono già stati spesi fiumi d'inchiostro e quindi difficilmente potrei apportare qualche elemento teorico nuovo.

Autonomia e isolamento

Sul piano concreto e dell'esperienza invece ho pochi spunti in quanto, soprattutto con l'autonomia, il mio ruolo è molto cambiato; i contatti pressoché quotidiani che avevo con le scuole ed i dirigenti scolastici si sono diradati, fino, in moltissimi casi, ad essere assenti o a limitarsi alle Conferenze di servizio con i Dirigenti dove peraltro sono più questi ultimi a confrontarsi con le linee d'intervento della Regione che non il centro a capire cosa succede nelle scuole.
Per questo, dal mio punto di vista professionale, posso accomunarmi a quei docenti che con l'autonomia lamentano un forte senso d'isolamento.

Nuovi rapporti centro e scuole

Se questa sensazione fosse generalizzata si potrebbe affermare che l'autonomia ha prodotto difficoltà nella comunicazione all'interno del sistema scolastico.
Credo che questa sia una constatazione verosimile, perché cambiando i “rapporti di forza” fra centro e scuole, il tipo di comunicazione doveva necessariamente cambiare.
Se prima il movimento era top down, disposizioni che dal Ministero passavano ai provveditorati e poi alle direzioni e alle presidenze, fino al singolo insegnante, ora tutto ciò non può più essere perché con l'autonomia scolastica le regole del gioco e lo sfondo istituzionale sono non cambiati, ma rivoluzionati.
Una domanda interessante, quindi, è capire come dovrebbero porsi i nuovi rapporti fra le diverse parti e come con l'autonomia scolastica si debba “fare sistema”.
Ora la prima constatazione, che potrà sembrare lapalissiana, ma non lo è per nulla, è che la scuola autonoma essendo un ente pubblico non può costituire un'entità indipendente come talvolta, invece, appare.
Ad esempio, sul piano delle informazioni, della raccolta dei dati, delle compatibilità dei codici comunicativi informatici, rivendicare da parte della singola scuola un proprio specifico spazio di azione è totalmente “un non senso” in quanto è di pregiudizio al buon funzionamento del sistema nel suo complesso.
Il centro deve però garantire, su questo piano, efficienza, economicità e trasparenza e deve evitare, come spesso in passato è accaduto, di caricare le scuole di continue e talvolta ridondanti richieste di informazioni. Tuttavia queste ultime non possono chiamarsi fuori dal sistema.

Complicazioni o complessità?

L'autonomia ha sicuramente complicato la vita di docenti e dirigenti, ha richiesto loro un notevole sforzo di auto organizzazione. Con l'autonomia sono poi arrivate altre innovazioni tutt'altro che trascurabili, come la verticalizzazione degli istituti, e gestire tre gradi di scuola che hanno caratteristiche specifiche molto particolari è certamente una impresa molto impegnativa, inoltre sono state introdotte, tra le altre, la contrattazione d'istituto ed i bilanci senza vincoli.
La similitudine che mi viene in mente, in questo caso, è quella del giovane che lascia la sua famiglia e va a vivere da solo: è certamente più libero ed indipendente e probabilmente la qualità della sua vita può essere ritagliata sulle sue esigenze, però è lui che deve provvedere a tutto, non ha più nessuno che si occupa “per lui”; non è un caso forse che molti giovani preferiscano rimanere in famiglia e che qualcuno nella scuola non sia un entusiasta dell'autonomia.

Il Centro che non molla

Un altro fattore estremamente critico riguarda il fatto che l'Amministrazione centrale non asseconda sempre il processo di autonomia delle scuole. La Riforma Moratti, è solo un esempio, ma di casi analoghi se ne possono trovare anche con altri ministri, introdusse nella sua legge-delega e nei decreti successivi moltissimi elementi di violazione del potere di autonomia delle istituzioni scolastiche.
Si pensi, per citare un caso, alle disposizioni ministeriali impartite alle scuole in tema di portfolio e di documentazione talmente particolareggiate e pedanti da risultare totalmente lesive dell'autonomia.
I governi, sia quelli nazionali sia quelli regionali, hanno probabilmente molte difficoltà a pensare politiche scolastiche fondate sull'autonomia organizzativa e didattica delle scuole, sembra quasi che essa possa privare e svuotare la forza di governo degli esecutivi. Non c'è da stupirsi. I ministri hanno bisogno di annunciare riforme di facile comprensione per i cittadini, ma che, talvolta, non competono loro. Basti ricordare quei ministri inglesi e francesi che dichiararono l'abolizione dei metodi globali per l'insegnamento della lettura e della scrittura, dimenticando che la competenza in quel campo non è loro, ma dei maestri che insegnano a leggere e scrivere.

Una vittima: la didattica

Questa vera e propria riorganizzazione complessiva che sta così tanto impegnando gli operatori scolastici ha fatto alcune vittime, la più illustre delle quali mi sembra essere la didattica.
Sembra che manchino i tempi e gli spazi per discutere del “far scuola”, per parlare del mestiere dell'insegnare, per confrontarsi su cosa accade in aula.
Mentre tutto è declinato nella comunicazione all'esterno in termini organizzativi e la scuola si “offre al mercato” non già per la qualità dei suoi insegnamenti e dei suoi insegnanti, (ma d'altra parte chi sa dire che cosa fa un insegnante durante le sue lezioni?) bensì per il proliferare dei suoi “parainsegnamenti”, visite, attività extrascolastiche e quant'altro, al suo interno la rimozione della didattica ha reso vieppiù individualistico il lavoro d'aula dell'insegnante. Siccome non c'è un tempo istituzionale per discutere di metodi d'insegnamento, il docente ha perso la sua connotazione professionale di tipo sociale. Se non ha interlocutori sulla sua professione, se non ci sono mai occasioni non dico per essere valutato, perché sarebbe troppo, ma neanche per confrontare la sua azione didattica, perché dovrebbe aggiornarsi? Perché dovrebbe riflettere e ripensare criticamente il suo operato?
Il quadro, spero sia meno fosco e caricaturale di quanto l'ho disegnato; molte realtà sono caratterizzate da tantissimi insegnanti che sono cresciuti professionalmente in ambiti e contesti molto ricchi sul piano motivazionale, ma c'è da chiedersi: chi si affaccia oggi nella scuola trova quello che da tanto tempo abbiamo chiamato l'ambiente per l'apprendimento ?
Senza una centralità della didattica non ha senso neanche l'autonomia. È la riflessione critica sul far scuola che orienta le scelte organizzative.
Gli orari, i laboratori, la modularità devono essere dipendenti dalle esigenze del far scuola. Se in scienze è necessario lavorare costantemente nei laboratori non si può prevedere un orario troppo spezzettato che non consente tempi distesi e la fruizione da parte degli alunni di aule attrezzate.
Se si riscontrano alti tassi d'insuccesso non si può continuare a mantenere la stessa organizzazione didattica che è concepita come se gli alunni medi fossero la stragrande maggioranza.
A questo serve l'autonomia: a rompere lo schema impiegatizio ed individualistico dell'organizzazione scolastica, a ragionare intorno alle pratiche che danno i risultati migliori e a tradurle in scelte progettuali condivise.
Questo non sempre succede perché lede situazioni consolidate, cozza contro pigrizie intellettuali, schemi conservativi e certamente non si vedono sforzi politici significativi per stimolare ed incentivare la professionalità dei docenti e ricordare loro, non solo simbolicamente ma anche sostanzialmente, la strategica centralità della loro funzione, così decisiva per i destini ed il futuro della nostra società.
Ma l'autonomia è appena cominciata ed ora è anche garantita dalla nostra Costituzione; il processo è senza ritorno e quindi siamo ottimisti perché essa costituisce un processo di responsabilizzazione senza precedenti all'interno del nostro sistema scolastico, dobbiamo lavorare tutti ad attualizzarne le potenzialità, ognuno per la sua parte: dai ministri ai bidelli.

Piero Floris

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