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La storia per Digital natives

Dai dati…

Propongo, per iniziare questa riflessione sull’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica della storia, l’analisi di alcuni dati.
Secondo il Rapporto annuale 2006(1) del Censis, il 37% degli italiani utilizza Internet almeno una volta la settimana, il che fa supporre che abbia a disposizione, a casa o sul luogo di lavoro, un computer. Questo dato mi sembra interessante per attestare il grado di penetrazione delle tecnologie informatiche in Italia: più di un italiano su tre usa regolarmente il pc ed ha quindi maturato competenze al riguardo. Se però confrontiamo tali risultanze con quelle offerte dalla ricerca Teenagers 2006(2) realizzata dalla Doxa, scopriamo che l’81% dei ragazzi dai 14 ai 18 anni utilizza quotidianamente il computer a casa e/o a scuola. Quindi, anche senza considerare quanto questo secondo dato abbassi percentualmente la soglia del primo, lo scarto tra 37 e 81 su 100 ci fa riflettere su quanto forte sia la differenza tra l’uso adulto e quello giovanile delle nuove tecnologie.
Dunque il digital divide non è solo quello che separa i paesi industrializzati dagli altri, ma anche quello che taglia trasversalmente il mondo occidentale segnando un ben marcato confine tra generazioni.

 

alle riserve mentali…

Agli adulti che, se non specificamente formati, si accostano al computer con molti timori e altrettante riserve, si contrappongono perciò i cosiddetti digital natives cioè quella fascia d’età che è nata già nell’era digitale e che quindi ha imparato contemporaneamente a leggere, a scrivere e a usare il pc.
È un bene? È un male? Francamente mi sembrano domande oziose, visto che ci confrontiamo con un dato di fatto; però consiglio la lettura del volume appena uscito di Steven Johnson Tutto quello che fa male ti fa bene(3)che, al di là del taglio provocatorio, propone una serie di interessanti riflessioni sul fatto che la diversità di approccio cognitivo che l’utilizzo dei nuovi media comporta non può essere considerato solo artefice della diminuzione delle tradizionali abilità logiche, come spesso si ripete, ma piuttosto vada visto anche come volano per la comparsa e l’affermazione di competenze, di modalità di conoscenza e di rappresentazione della realtà diverse, ma non meno ricche e complesse e anzi più adatte per una società che comunica in modalità prevalentemente multimediale.
Questo ovviamente non vuol dire che la cultura del libro e dell’approccio alla conoscenza che esso propone siano superate o superflue: indubbiamente il pensiero logico-deduttivo si consolida proprio attraverso questo strumento. Il problema però è che il libro non può più essere il punto di partenza, ma semmai il punto di arrivo del processo di formazione culturale dei nostri studenti.
E questa realtà è ancora più vera oggi con l’affermazione esponenziale del cosiddetto web 2.0. Ragazzi che vivono l’esperienza di videogiochi in 3D, che navigano in internet con disinvoltura, che frequentano mondi virtuali come Second Life(4) , che producono e scambiano filmati in Youtube(5), che gestiscono con competenza il proprio weblog(6) devono poter trovare spazio anche in ambito scolastico per sistematizzare il tipo di conoscenze e di competenze che acquisiscono in questo modo e, ancora di più, devono essere guidati a scoprire le eventuali misconoscenze o le semplificazioni che questo tipo di approccio non sistematico alla cultura può produrre.
La scuola, come sappiamo, è sempre meno il luogo che fornisce conoscenze inedite, mentre invece resta quello in cui si verifica e si riconduce a sistema l’enorme massa di frammenti di sapere che già i media ci forniscono.

 

al cambio della didattica…

Come cambia quindi la didattica della storia nell’epoca del trionfo delle nuove tecnologie?
Mi sembra che lo scenario appena disegnato faccia emergere come la trasmissione frontale fondata sulla narrazione manualistica non possa che uscire sconfitta dal confronto. Diventa allora importante mettere in campo approcci diversi che non possono che avere il loro centro nel laboratorio cioè in attività di ricerca attiva e partecipata che rendano gli studenti protagonisti del proprio apprendimento così come avviene nella maggior parte delle attività extrascolastiche legate all’utilizzo dei nuovi media interattivi.
Gli step di questo tipo di approccio in estrema sintesi potrebbero essere i seguenti:

  1. partire da un problema attivando quindi una modalità di tipo euristico di stampo costruttivista;
  2. verificare preconoscenze e misconoscenze in proposito;
  3. dare centralità all’esperienza di ricerca che serve per risolvere il problema;
  4. proporre modalità collaborative di costruzione della conoscenza;
  5. utilizzare una pluralità di fonti che si avvalgano di supporti anche diversi dalla carta (siti web, banche dati di immagini e di documenti scritti, filmati, ecc.);
  6. prevedere la realizzazione di un prodotto, possibilmente ipermediale, che dia conto dei risultati della ricerca e che ripercorra anche le fasi significative del processo attraverso il quale si è pervenuti alla soluzione del problema in modo da attivare anche processi di tipo autovalutativo e metacognitivo.

E il manuale? E l’insegnante? Il manuale resta un utile strumento di consultazione e anche di verifica autorevole dei dati progressivamente scoperti con la ricerca e l’insegnante rimane il regista, il supervisore, il consulente scientifico di tutto il processo, responsabile dei necessari raccordi, dei collegamenti, della valutazione in itinere e a fine processo.
Ma attenzione: fare laboratorio non vuol dire necessariamente simulare sempre in tutto e per tutto il lavoro dello storico. Questo tipo di approccio alla ricerca, che rimane comunque un’esperienza indispensabile nel bagaglio di qualsiasi studente, non è l’unico: non sempre si può approfondire a questo livello. È laboratorio tutto quello che, a partire da un tema o da un problema, mette in campo una molteplice serie di strumenti per rispondere all’esigenza cognitiva che solleva. Da questo punto di vista molto significativo può essere, ad esempio, il webquest(7) ovvero la ricerca guidata in rete a partire da risorse preselezionate dall’insegnante. Questa modalità di lavoro, ideata da Bernie Dodge(8), prevede che gli studenti si organizzino in gruppi, costruiti in base al criterio dell’interdipendenza positiva (criterio fondamentale nel cooperative learning) in modo che il compito possa essere portato a termine solo se ciascun elemento del gruppo svolge con puntualità il proprio ruolo. Ogni gruppo affronta uno specifico sottotema che, integrato agli altri, fornisce le risposte al problema sollevato all’inizio. Il compito dell’insegnante è sia quello di indicare le risorse sia quello di strutturare il lavoro in modo che non possa risolversi con un semplice taglia/incolla dai siti indicati sia, naturalmente, quello di valutare i risultati della ricerca. Vista in un’ottica di curricolo verticale, questa modalità di esplorazione della rete può facilitare un approccio critico allo stesso web del quale si scopriranno anche le inesattezze, i limiti o le interpretazioni di parte che propongono.
Insomma esercitarsi alla ricerca in rete, magari imparando ad utilizzare anche gli ultimi strumenti come la folksonomy(9), consente di guardare ad internet con spirito critico e questo aspetto è fondamentale soprattutto in ambito storiografico perché consente agli studenti di imparare a difendersi dagli usi impropri e pubblici dei quali la storia è sempre più oggetto. Imparare ad usare criticamente il web diventa quindi fondamentale per l’educazione alla cittadinanza e, nello stesso tempo, consente di coltivare quelle stesse competenze di analisi delle fonti, dei documenti, delle interpretazioni storiografiche che costituiscono le competenze in uscita per uno studente alla fine del suo percorso di studio della storia.
In conclusione, credo sia necessario imparare a guardare alle nuove tecnologie come ad un’opportunità piuttosto che come a un pericolo, ma, per far questo, è indispensabile che gli insegnanti per primi accettino il rischio di mettersi in gioco.

Patrizia Vayola

Note
1 Cfr. http://www.censis.it
2 Cfr. http://www.doxa.it/idee/docs/Somedia_Teenager2007.pdf
3 Steven Johnson, (2006), Tutto quello che fa male ti fa bene, Mondadori, Milano
4 http://secondlife.com/
5 https://www.youtube.com/
6 Per una prima informazione sul fenomeno si confronti http://it.wikipedia.org/wiki/Blog
7 Per una panoramica sul webquest ricca anche di esempi pratici per tutti gli ordini di scuole si consulti la pagina WEBQUEST: REGOLE ESEMPI, LINK all’indirizzo http://www.bibliolab.it/webquest.htm
8 Il sito di Bernie Dodge è consultabile all’indirizzo http://webquest.org/index.php
9 Con il termine folksonomy si intende la pratica del social tagging in base alla quale siti utili vengono marcati dagli utenti con indicazioni memorizzate da uno speciale motore di ricerca in modo da facilitare il reperimento di siti già validati. Uno dei motori più significativi da questo punto di vista è all’indirizzo http://del.icio.us/

 

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