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Édito

Oltre il cacciavite.

Ancora una volta la scuola è posta sotto accusa dai media come luogo privilegiato di violenza non solo praticata, ma poi diffusa via internet. Solo qualche mese fa le critiche riguardavano gli scarsi risultati ottenuti a livello nazionale nell’indagine Ocse Pisa e a livello regionale nelle prove Invalsi. Il Ministro Giuseppe Fioroni alla Commissione Cultura, scienza e istruzione afferma: “Non ha orecchie per sentire né occhi per vedere chi dalle pagine dei giornali proclama che la scuola italiana è morta, o comunque che le sue malattie sarebbero inguaribili” e sono d’accordo. I risultati Invalsi delle scuole della nostra regione, ad una prima lettura effettivamente poco gratificanti, provano, al contrario, proprio il ruolo che la scuola riesce a svolgere: ci collochiamo ai livelli più bassi nelle classi della primaria, si verifica un primo miglioramento all’inizio della secondaria, mentre in quarta superiore risaliamo al decimo posto. Bel recupero, ma sicuramente non basta. Che sia difficile fare scuola oggi lo sappiamo tutti, a volte ci dimentichiamo di quante risorse legislative e professionali possiamo disporre. L’autonomia scolastica, unico elemento riformistico rispettato dal centro destra e dal centro sinistra, ma non sempre sfruttato appieno, “ha in sé tutte le potenzialità necessarie allo sviluppo della dimensione comunitaria della scuola”. Proprio perché nessuna innovazione calata dall’alto veramente progredisce, la speranza di successo risiede nella sinergia possibile tra scuola e territorio, enti locali e risorse della comunità, all’interno di finalità generali. In particolare, occorre potenziare ogni domanda di istruzione sia come prolungamento degli studi dei giovani che come reingresso degli adulti nel mondo della formazione.
A livello nazionale e regionale la prima preoccupazione permane quella di contrastare la dispersione, definita dal ministro “Madre di tutte le battaglie”, individuare ed aggredire cioè le patologie dell’insuccesso scolastico, della demotivazione e degli abbandoni. Conosciamo i dati nazionali (72% di ventenni diplomati, media Ue 80%) sarebbe interessante disporre di dati regionali comparabili, anche riguardo al numero di licenziati dalla secondaria di primo grado con la valutazione di sufficiente, che nasconde sovente lacune, se non veri e propri deficit di preparazione. La presenza sul territorio regionale di istituzioni comprensive consente di monitorare costantemente il disagio riconoscendo precocemente le difficoltà e di organizzare interventi di continuità; rimane problematico, come a livello nazionale, il passaggio alle superiori, segnato da abbandoni che si verificano soprattutto nel biennio. A contrastare questa situazione può contribuire l’innalzamento dell’obbligo a 16 anni e la creazione di un biennio (ma non ci avevamo già pensato tanti anni fa in Valle d’Aosta?) che consenta “l’innalzamento delle competenze di base per tutti, lo sviluppo/verifica degli orientamenti e delle propensioni di ciascuno, l’abbattimento drastico dell’insuccesso scolastico, della demotivazione”. La norma è stata inserita nella faticosa Finanziaria 2006, la sua realizzazione sarà affidata a ulteriori adaptations e alla capacità delle istituzioni di relazionarsi con la comunità per creare situazioni di valorizzazione e motivazione all’apprendimento dei ragazzi a rischio di drop out. Diverse e molteplici sono, infatti, le cause dell’abbandono e vanno lette e interpretate in loco, con un raccordo tra istituzioni e un coordinamento regionale che aggiorni l’anagrafe dei soggetti all’interno dei parametri del nuovo obbligo e svolga un’azione di supporto scientifico nella decodifica e nella risoluzione dei diversi bisogni. La rettifica portata poi alle procedure degli esami di stato, dove tornano lo scrutinio per essere ammessi all'esame, l'obbligo di aver saldato i debiti contratti negli anni precedenti, ricompaiono le commissioni d'esame miste, sono previsti premi all'eccellenza degli studenti con incentivi di natura anche economica per un importo di 5 milioni di euro finalizzati alla prosecuzione degli studi e percorsi di orientamento nell'ultimo anno di studi, anche con la partecipazione in classe di docenti universitari, vuole ridare valore e dignità al lavoro dell’apprendimento e dell’insegnamento. Questa volontà di riconferire serietà al rito dell’esame finale non contrasta con la battaglia alla dispersione, anzi la inquadra in un processo di riconsegna di dignità alla scuola: i livelli di riuscita imposti dagli accordi di Lisbona non si onorano gonfiando le statistiche con facili risultati, ma accompagnando i giovani al superamento meritato dell’esame di maturità con percorsi articolati e coerenti con i bisogni produttivi della comunità. Per un lavoro così complesso avremo bisogno di tutta la cassetta degli attrezzi, non solo del cacciavite.


Giovanna Sampietro

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