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Gadget e merendine

Un bambino indifeso in balia delle logiche di mercato. Compito di educatori e di comunicatori è quello di aiutarlo a distinguere tra realtà e finzione “smontando” il messaggio pubblicitario per capirne il funzionamento e intuirne gli scopi.

É risaputo: il cibo è considerato nutrimento del corpo e della mente. Ma, se è così, quale ruolo hanno oggi alcuni cibi, quali merendine e snack, nello sviluppo della crescita dei più piccoli? E quale influenza ha la pubblicità di questi prodotti in funzione di una corretta alimentazione?
Sempre più spesso assistiamo ad un dibattito sulla funzione negativa della pubblicità, in particolare televisiva, nel rapporto tra minori e alimentazione.
Ai media si imputa di trasmettere messaggi diseducativi attraverso immagini insinuanti e deduttive.
Le indagini più recenti mettono in luce come la fruizione troppo intensa della televisione crei nei più piccoli danni sia per il corpo sia per la mente.
Ma quanto serve dipingere in toni sempre più allarmanti il ruolo di televisione, radio e stampa? Non potrebbe essere più produttivo promuovere invece l’idea che è necessario insegnare ai bambini le tecniche della comunicazione perché imparino a “smontarla” e siano quindi in grado di vedere un messaggio in modo più corretto?

Il problema del sovrappeso

L’allarme è stato dato dall’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) che ha messo in circolazione alcuni dati: nel mondo sono 1,7 miliardi le persone in sovrappeso di cui 300 milioni si possono definire obesi. In Italia, nel 2003, i sovrappeso erano 16 milioni e gli obesi 4 milioni.
Il problema diventa anche più grave quando si parla di bambini: il 36% sono in sovrappeso e il 12% sono obesi. Non dimentichiamo che questi dati si inseriscono in uno scenario nel quale alcuni miliardi di persone soffrono la fame.
L’OMS, che ha recentemente attivato un’importante strategia di prevenzione, chiede la collaborazione di tutti per risolvere questo problema.
Quanto può contare un messaggio corretto veicolato, per esempio, a scuola se, durante il resto della giornata, il bambino è stimolato da decine di spot che invitano a consumare merendine e snack con alto contenuto di grassi e di zuccheri?
Se la maggioranza dei bambini dichiara che ama fare la spesa con la mamma è perché così nel carrello finiscono meno verdure e più merendine, gelati e dolci.
Recenti indagini, ultima su tutte quella della Fondazione Louis Bonduelle su un campione di 1000 alunni della scuola primaria di Milano, dimostrano che per i bambini mangiare verdura è una vera sofferenza tanto che il 63% dei piccoli intervistati indica la verdura come l’elemento più detestato.
Un problema certamente non nuovo che però assume oggi proporzioni allarmanti perché la verdura viene sostituita da prodotti pronti, ricchi di grassi e di zuccheri.

Gadget e merendine

Per conquistare nuovi consumatori l’industria alimentare è alla continua ricerca di idee nuove. Ai concorsi, ai club, alle collezioni si affiancano iniziative che propongono gadget molto accattivanti per i bambini.
Per esempio, sempre più spesso, nel periodo di lancio di un nuovo film, il mercato presenta snack e merendine con i personaggi della storia in quel momento sugli schermi. Ma non mancano neppure i personaggi “storici” (uno per tutti Geronimo Stilton) che entrano in gioco per promuovere un cioccolato, veicolando concetti di vicinanza tra mondi apparentemente diversi come quello dell’editoria e dei prodotti alimentari.
Anche le tecniche classiche della promozione vedono i bambini destinatari di campagne di collezionamento di punti che promettono loro regali decisamente allettanti. E le feste, nuove come Halloween o tradizionali come la Befana, diventano l’occasione per incentivare le vendite attraverso gadget e messaggi indirizzati al bambino.

Il ruolo della pubblicità

Anche se, in tempi recenti, l’industria alimentare e il mondo della comunicazione hanno dichiarato di voler assumere comportamenti più responsabili, il problema è ancora ben lontano dall’essere risolto.
Le logiche di mercato sembrano prevalere sull’etica e i bambini restano inconsapevoli protagonisti di scelte, spesso discutibili, di esperti di marketing e comunicazione.
Qualche segnale positivo si incomincia però a intravedere. È di qualche mese fa la dichiarazione dell’Amministratore Delegato di una grande multinazionale che ha comunicato la scelta dell’azienda di non voler più investire in pubblicità televisiva di prodotti con grassi e zuccheri nelle fasce orarie dove il pubblico è composto prevalentemente da minori.
Ed è del luglio 2004 la modifica dell’articolo 11 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria che introduce regole più restrittive in tema di promozione degli alimenti quando i destinatari sono i bambini.
Il mondo di chi produce e di chi comunica sta quindi prendendo in considerazione la possibilità di “autodisciplinarsi” prima che intervengano imposizioni molto più restrittive da parte dell’OMS o di altri soggetti internazionali.

L’educazione ai media

Esistono però anche progetti di comunicazione che vanno citati per la correttezza dell’approccio al tema.
È il caso, per esempio, di Coop che da anni si occupa di consumo responsabile e che ha realizzato il kit “Smontiamola!” finalizzato all’insegnamento dei media. La proposta prevede, tra gli altri, strumenti per imparare a decodificare il linguaggio della pubblicità e ad analizzarne la grammatica.
Tutte le agenzie educative concordano che per rendere i bambini protagonisti delle loro scelte è necessario fornire strumenti di lettura, in particolare del mezzo televisivo: insegnare a leggere le immagini, far capire quali sono i criteri per distinguere una fiction da un reportage, ecc.
L’educazione ai media, in una società che definiamo “mediatica”, è materia obbligatoria nei programmi scolastici di alcuni Paesi quali Finlandia, Svezia, Canada e Australia, grazie anche alla spinta di alcune associazioni di educatori e genitori.
È evidente che comprendere le strategie comunicative della televisione, appropriandosi del suo linguaggio, significa essere capaci di confrontarsi con situazioni diverse e affinare il senso critico.
Se alle imprese che investono in pubblicità viene chiesta dalle istituzioni, OMS in testa, una presa di coscienza nella scelta dei messaggi indirizzati ai bambini, ai comunicatori si chiede di affrontare le campagne con maggiore responsabilità.
Ad esempio, di non far ricorso a tecniche persuasive che agiscano in modo scorretto sull’immagine del bambino, di non ingannarlo attraverso la manipolazione di forme, colori, benefici ottenibili dal prodotto, di non utilizzare testimonial che rendano difficile distinguere tra spot e programmi di intrattenimento.
In sintesi, si chiede ai comunicatori di non dimenticare mai che il bambino è spesso indifeso perché ha una comprensione solo parziale delle logiche del mercato.

Rossella Sobrero

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