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Adattare la riforma: una legge regionale per una scuola europea

La legge regionale n. 18 del 1° agosto 2005, relativa all'organizzazione della scuola e del personale scolastico, offre materia di riflessione in chiave pedagogica su molteplici aspetti. In particolare, presenta un'interessante sollecitazione relativamente alla dimensione europea dell'educazione sia in termini di contenuti sia in riferimento agli obiettivi indicati dal Consiglio Europeo in tema di politiche dell'istruzione e della formazione nella Strategia di Lisbona del 2001 e nelle successive specificazioni(1) . Ci riferiamo in particolare all'innalzamento del livello di istruzione, alla qualità dei sistemi formativi, all'educazione plurilingue, all'educazione interculturale.
Nel documento pubblicato dalla Commissione Europea nel marzo 2005, si sottolinea, fra l'altro, la permanenza di un alto tasso di abbandono scolastico e l'incompletezza di una cultura valutativa volta a monitorare la qualità della formazione. Nella legge regionale n. 18, all'esplicitazione delle finalità di progressiva crescita delle competenze degli allievi fanno seguito disposizioni in favore della collegialità, della programmazione, della compresenza dei docenti in aula, dell'ampliamento dell'offerta formativa, della progettualità e dell'innovazione, tutti elementi cardine della qualità dell'istruzione. Le condizioni di contesto per l'esercizio di una didattica di qualità sono, infatti, una premessa necessaria per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo culturale e formativo della persona.
Nella scuola pubblica a base sociale ampia e connotata in modo multiculturale, la differenziazione didattica è una strategia ineludibile se ci si colloca in una prospettiva di equità. Il modello delle pari opportunità - che assicura a tutti l'accesso al sistema formativo, ma nulla prevede in merito al successivo percorso di crescita - è invero insufficiente a garantire un adeguato livello di istruzione a tutti gli allievi giacché le diversità che si articolano in differenze fanno di ciascuno un essere unico e irripetibile, rispetto ad una pluralità di aspetti, incompatibile con qualsiasi forma di omologazione. Questa differenziazione, che fa dell'eterogeneità un dato e una ricchezza nella composizione delle classi scolastiche, definisce le situazioni in ingresso come varie e complesse. Una scuola che offre a tutti un eguale trattamento conduce fatalmente a trasformare le differenze in discriminazioni: rispondere alla complessità con la semplificazione è non solo riduttivo, ma inutile. Da cui l'esigenza di agire sulla variabile “organizzazione didattica” per assicurare a tutti e a ciascuno il passaggio dal diritto allo studio al diritto all'apprendimento: non basta aprire le porte della scuola, occorre anche promuovere fattivamente l'acquisizione di competenze e regolare in itinere costantemente, sistematicamente i processi di insegnamento-apprendimento. Una buona organizzazione didattica richiede risorse e competenze; la possibilità di realizzare, per esempio, la collegialità della decisione e dell'azione, attraverso tempi e spazi dedicati, legittimati e riconosciuti, è un fattore di qualità; la formazione professionale degli insegnanti, iniziale e permanente, fornisce gli strumenti necessari per un uso efficace di tali possibilità. Si tratta allora di chiarire quanto e come le scuole potranno fruire delle risorse allocate per il miglioramento dell'istruzione in Valle d'Aosta.
Un'altra sfida del riconoscimento pedagogico della differenza è costituita da un'educazione che, da multiculturale come dato, possa divenire interculturale come progetto; si inserisce qui anche l'attenzione verso la cittadinanza europea, a partire dalla valorizzazione delle particolarità e dell'identità locale.

In questo senso, la legge 18 indica la via dell'insegnamento-apprendimento delle lingue come impulso del dialogo interculturale e, al tempo stesso, come affermazione del particolarismo socioculturale della Regione, rimarcando la dinamica educativa della costruzione identitaria come continuo scambio e rimando tra conoscenza di sé e incontro autentico con l'Altro. Le competenze linguistiche, peraltro, sono indicate nel documento della Commissione Europea del 2003, insieme a quelle interculturali, fra le competenze chiave necessarie ad ogni individuo per un'opportuna integrazione comunitaria. L'educazione linguistica, così espressamente sostenuta e accreditata, potrebbe in sé stessa fare oggetto di sperimentazione e innovazione, ma anche configurarsi come ponte verso una pratica diffusa, metodica, coerente del pensiero interculturale in tutte le discipline di insegnamento.
Le aperture offerte dalla legge regionale necessitano, oltre che di una precisazione pedagogica e didattica delle relative possibilità di attuazione, della definizione di un sistema di valutazione della qualità, come manifestamente richiesto dalle raccomandazioni comunitarie e come naturalmente previsto da qualsivoglia progettazione seria volta al cambiamento. La promozione di una cultura valutativa richiede processi di informazione, di negoziazione e di condivisione di significati che non si improvvisano e che esigono ulteriori risorse ed espliciti impegni.

Teresa Grange Sergi
Direttore della scuola di Specializzazione per la Formazione degli Insegnanti di Scuola Secondaria (SSIS), presso l'Università della Valle d'Aosta - Université de la Vallée 'Aoste.

Note
(1) Consiglio Europeo di Lisbona, Conclusioni della Presidenza, 23-24 marzo 2000; Relazione “Gli obiettivi futuri e concreti dei sistemi di istruzione e formazione”, EDUC 23, Bruxelles, 2001; Programma dettagliato sul follow-up circa gli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione in Europa, in GU delle Comunità Europee, C142, Bruxelles, 14 giugno 2002; Istruzione formazione 2010 – L’urgenza delle riforme per la riuscita della Strategia di Lisbona, EDUC 43, Bruxelles, 3 marzo 2004; Progress Towards the Lisbon Objectives in Education and Training, SEC (2005) 419, Bruxelles, 22 marzo 2005.

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