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Ça marche, à condition que...

Alcune riflessioni sull’utilizzo delle Séquences, uno strumento didattico che ha in sé delle potenzialità anche per la didattica bilingue, a condizione di farne un uso rispettoso e contestualizzato.

Ho cominciato a lavorare con le “Séquences” agli inizi dell’a.s. 1997/1998. Ero, all’epoca, insegnante di lingua in due terze elementari, una delle quali decisamente problematica per la presenza di tre bimbi privi di una sufficiente competenza di base della letto-scrittura e di un gruppo di alunni scarsamente motivati all’attività scolastica.
Partecipai ad un paio di giornate di formazione relative alla Séquence “Décrire un animal”. Con l’autrice Clara Bosonetto, all’epoca CD (collaboratore didattico) di lingua nel mio circolo, analizzammo nel dettaglio il tipo di lavoro che questo nuovo strumento permetteva.
Alcuni elementi mi piacquero subito, in particolare l’idea di partire dalle conoscenze dell’alunno per costruire, su quelle e con quelle, un percorso di apprendimento finalizzato
all’elaborazione di un prodotto: nel caso della Séquence “Décrire un animal” la stesura di un testo descrittivo sugli animali.
Molti erano però i dubbi rispetto ad un utilizzo in classe, o meglio nella mia classe così problematica. Il freno maggiore consisteva nella complessità, quanto meno paragonata al livello dei miei alunni, dei testi in lingua francese che richiedevano di essere letti, capiti, prima di essere lavorati. Anche su consiglio della CD, decidemmo di sperimentare comunque. I risultati andarono al di là di ogni aspettativa: le carenze di interesse e di motivazione di alcuni bambini non furono superate completamente, ma questo strumento li “agganciò” e li motivò ad affrontare quelle esperienze di apprendimento complesse, nei confronti delle quali avevano a priori un atteggiamento di rinuncia.
Sicuramente uno dei punti forti delle séquences è il ricorso all’alternanza delle due lingue. I bambini, soprattutto i più piccoli, lavorano passando con discreta dimestichezza da un codice all’altro e la presenza delle due lingue è percepita come naturale.
Spesso i testi in lingua francese delle séquences sono abbastanza lunghi e complessi. L’organizzazione del lavoro però fa sì che non sia necessaria una loro comprensione completa, parola per parola, una volta capito globalmente il messaggio il bambino è in grado comunque di procedere nell’esercizio, costruito anch’esso per facilitare il processo di apprendimento senza peraltro banalizzarlo.
La presenza delle due lingue non ostacola dunque gli apprendimenti. Occorre però, a mio parere, non dimenticare che la lingua francese non è per la gran parte dei nostri alunni la lingua madre e, pretendere di volerla insegnare come tale, crea dei problemi.
Si sa che più i bambini sono piccoli, più hanno facilità ad appropriarsi di differenti codici linguistici e questo avviene quando vi è quantità, frequenza e qualità di esposizione alla lingua. Le séquences offrono un materiale, sotto questi aspetti, particolarmente ricco.
L’insegnante non deve aver paura di tradurre. Per anni, gli insegnanti della mia generazione sono stati turbati dal fantasma della traduzione: meglio esibirsi in ridicoli mimi o in disegni alla lavagna della parola non capita, ma guai a tradurre! (Mimi e disegni non sono peraltro da buttar via…)
I bambini devono essere posti nella condizione di capire quanto detto nella lingua meno conosciuta. In entrambe le lingue e a tramite esercizi di diverso tipo, svolti durante gli ateliers, gli alunni procedono nell’apprendimento secondo il principio della progressione a spirale. L’acquisizione di un concetto presentato esclusivamente in lingua francese può creare dei problemi a una parte dei nostri alunni, perché è difficile costruire sapere quando non si capisce ciò che si legge o si ascolta. Nelle séquences questo non avviene, il bambino non è mai solo nella scoperta e nell’elaborazione delle conoscenze, l’insegnante funge da mediatore e ci sono i compagni con i quali confrontarsi.
A mio parere, l’alternanza delle due lingue e la presenza spesso, nello stesso esercizio, di entrambi i codici aiuta i bambini a utilizzare ciò che sanno nella loro lingua per capire o almeno intuire ciò che ancora non conoscono. Tradurre può quindi essere utile.

Del resto la traduzione avviene, gioco forza, nel momento in cui i bambini lavorano in coppia (en duo). È naturale che fra di loro si esprimano in italiano, chi ha capito il messaggio in francese o il significato della singola parola ne fa la traduzione al compagno e se entrambi non decifrano quanto letto, ricorrono al dizionario.
La modalità di lavoro a coppie è senza dubbio un altro dei punti forti delle séquences come altrettanto importante si rivela il momento della “mise en commun”, della correzione collettiva degli esercizi.
Non è sufficiente però mettere i bambini in coppia per un “travail en duo”. L’insegnante deve essere consapevole che la collaborazione fra gli alunni richiede il possesso di abilità sociali che devono essere insegnante e non date per scontate.
I bambini si misurano con:
• la comprensione della consegna
• la divisione dei ruoli
• la decisione della strategia da adottare per eseguire l’esercizio
• l’accettazione delle idee altrui
• la capacità di argomentare le proprie.
Solo una buona collaborazione nella coppia può favorire gli apprendimenti e permettere agli alunni di fruire appieno dell’interazione con un pari per ampliare, con il suo aiuto, le proprie capacità cognitive e operative (vedi il box sulla Zone de développement proche).
L’insegnante è chiamato a prestare particolare attenzione alla formazione delle coppie, ricorrendo anche alla scelta per “libera associazione” e a monitorare, nel momento della correzione degli esercizi le modalità di funzionamento delle coppie.
Anche la “mise en commun” risulta un elemento importantissimo e il momento della correzione deve avvenire in due tempi: il primo, avrà cura di correggere forme e contenuti dell’esercizio; il secondo, analizzerà le modalità del lavoro in coppia: quali sono stati i punti forti, quali le difficoltà sia di carattere logico sia organizzativo-comunicazionale incontrate.
Una correzione attenta del lavoro e un’analisi scrupolosa delle procedure di coppia seguite sono indispensabili per evitare “sterili aggregazioni” che autorizzano il bambino a dire ad esempio: “L’ho scritto perché me l’ha detto lui!” oppure, come spesso accade, che l’alunno con maggiori competenze trascini nell’esecuzione dell’esercizio il compagno senza fornirgli gli elementi per capire cosa sta facendo.
Ogni alunno deve inoltre sapere sin dall’inizio che gli sarà chiesto un prodotto finale individuale, deve quindi poter in ogni momento chiarimenti sia al compagno durante il lavoro, sia all’insegnante durante la correzione.
Un problema può essere il tempo: tre settimane sono poche, ma una séquence ha la necessità di essere condotta in tempi stabiliti, riavvicinati, concentrati per ampliarne l’efficacia e non produrre demotivazione per i tempi troppo dilatati.
Forse, per svolgere con attenzione il lavoro di correzione, vale però la pena di allungare un tantino i tempi…
Visto poi che la “mise en commun” è un buon momento di attività bilingue, alcuni esercizi infatti richiedono espressamente l’uso delle due lingue, perché non favorire questa attività anche all’orale, proprio durante la correzione comune, momento importante per riconoscere all’errore il ruolo di risorsa?
La scansione metodologica delle séquences riserva molta attenzione alla produzione finale (production 2). Rivedere il proprio elaborato iniziale (production 1), modificandolo e riscrivendolo alla luce dei nuovi apprendimenti è un ottimo modo per permettere all’alunno di costruire il suo sapere a partire da quanto già possedeva, o meglio ancora di renderlo cosciente del suo punto di partenza e del percorso fatto per acquisire nuovi apprendimenti.
L’esperienza mi ha insegnato che è bene curare l’analisi delle due produzioni a confronto e non limitarsi a correggere il prodotto finale, anche se, così facendo, i tempi si allungano.

La struttura delle séquences facilita il passaggio di competenze da una lingua all’altra, accade infatti che i bambini partano da una produzione iniziale in lingua italiana e scrivano la produzione finale in lingua francese. La struttura del testo, la sua pianificazione è concettualmente appresa durante il percorso e, se una difficoltà può esserci nell’elaborazione del testo in francese non sarà sui concetti presentati, ma eventualmente sul lessico e sulla struttura della lingua. Nulla vieta all’insegnante di fornire ulteriore vocabolario e, eventualmente, alcune strutture sintattiche che possono essere di aiuto.
La positiva esperienza personale che mi ha spinto negli anni a riutilizzare le séquences di lingua, a produrre insieme a colleghi brevi percorsi, a lavorare con e per le séquences sul fascismo e sui flussi migratori, mi fa dire che, questo strumento ha degli “atouts” che l’insegnante deve sfruttare al meglio, anche integrandolo con le proprie conoscenze metodologiche, evitando cioè di appropriarsene in modo sterile e preconfezionato.
Una séquence ha una struttura ben definita, un prima e un dopo, all’interno del quale è chiaro il percorso che si vuole attuare e i fini che si vogliono raggiungere. Questo strumento è efficace se non diventa une méthode “tout court”, un libro di testo, deve rimanere all’insegnante un margine di autonomia nel suo utilizzo.
La séquence ha in sé delle potenzialità di sviluppo che nascono e crescono nel contesto della classe, è uno strumento di lavoro che aiuta la didattica bilingue a patto di farne un uso rispettoso e contestualizzato.

La zone de développement proche
La conception de l’apprentissage auquel renvoient les
Séquences didactiques valdôtaines
[…] Ces quelques lignes nous conduisent au concept de “ Zone de développement proche ” ; concept vygotskien qu’on peut définir comme “ la différence entre le niveau de résolution de problème sous la direction et avec l’aide adulte (ou d’enfants plus avancés) et le niveau de résolution de problèmes atteint seul ”.
C’est un espace de développement. Un élève peut ne pas être capable de réaliser une tache ou un apprentissage spécifique en mobilisant ses seules capacités psychologiques propres (témoins de son état actuel de développement), mais il peut y parvenir lorsque la collaboration avec l’enseignant ou certains camarades plus avancés lui apporte de nouveaux contenus, de nouveaux outils psychologiques, l’oriente vers de nouvelles procédures.
C’est cet espace de développement compris entre le niveau atteint par l’enfant seul et le niveau atteint par l’enfant avec l’aide d’autrui que Vygotsky appelle la zone de développement proche ou zone proximale de développement.
(Tiré de l’École valdôtaine, n. 48, septembre 2000, p. 17 et 18).

 

Loredana Rossi

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