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In tséi no

Mé souvégno…
“O qué bel avé a métressa qu’ou parla ou patoué… damadjo qué i mé mat son pamé a l’èhcóua! Ciao nè, métressa! Fran countenta…”.

Ho sempre parlato in patois con la gente del paese dove insegnavo, creava un legame forte tra la scuola e le famiglie.
Ancora oggi, quando li incontro, a distanza di 40 anni, gli abitanti di Lillianes, di Champorcher o di Perloz mi salutano in patois.
Affiancavo all’uso del patois la lingua francese. Mi veniva naturale.
Al tempo stesso cercavo di non penalizzare i bambini non patoisants, valorizzando gli usi e i costumi delle regioni di provenienza, nell’intento di educare al rispetto di tutti i dialetti.
Ho sempre insegnato infatti in zone rurali a bambini patoisants. In alcuni casi, si trattava di bambini “lavoratori” che aiutavano i genitori, allevatori e contadini, in campagna. A scuola riportavano le loro esperienze, come la nascita di un vitellino. Ricordo che un alunno, parlando di una signora che aspettava un bambino, la paragonò alla sua mucca: “Qué soun aloura si mamme? dé vatche!…
Come primo incarico, dopo sette anni di studi ad Ivrea, mi ritrovai nella scuola sussidiata di Fangeas di Lillianes. Andare a scuola a Fangeas significava fare davvero fare i conti con il territorio. Raggiungevo la scuola partendo da Donnas alle 5:30 in bicicletta. Alle 6:00, salivo sul pullman degli operai dell’ILSSA VIOLA a Pont-Saint-Martin che mi portava a Lillianes. In 45 minuti raggiungevo a piedi la frazione di Fangeas, dove mi dovevo occupare del fuoco e della preparazione del pranzo per tutti. La maestra, allora, faceva di tutto: la bidella, la cuoca, l’infermiera, l’assistente alla refezione.
Il primo anno di ruolo, insegnai a Issogne – Favà: diciassette alunni, quattro classi. Una mattina, senza nessun avviso, arrivò l’Ispettore Joyeusaz. Chiese ai miei alunni se conoscessero i nomi delle montagne e dei torrenti del paese. Presi alla sprovvista, citarono a memoria nomi di catene montuose lontane, ma non ricordarono quelli delle montagne circostanti.
Imparai quel giorno, che era inutile conoscere il territorio lontano, se non si era studiato lo spazio intorno a noi. L’anno successivo, a Bard, l’Ispettore si ripresentò: non ci colse più impreparati. I bambini conoscevano bene la storia del Forte e la geografia del posto. Il primo episodio mi aveva fatto riflettere sul senso profondo e motivante dello studio del territorio.
Non mi limitai però a scoprire con i miei alunni il nostro ambiente. Da Champorcher, andammo in aereo a Genova perché una mia collega, Miranda Glarey, aveva scoperto una proposta vantaggiosa dell’Alitalia: per ogni adulto accompagnatore, un bambino volava gratis. Perché non approfittarne? Visitammo una nave mercantile inglese e fu una straordinaria avventura per noi e per i bambini.
La parola “territorio” evocava per noi innanzitutto la possibilità di uscire, di esplorare, di raccogliere materiali da rielaborare in classe. Persino il dettato che sceglievo, su Scuola italiana moderna, era coerente con il territorio. Furono importanti, in tal senso, le prime esperienze di formazione in Francia. Durante il mio primo stage, visitai l’École Freinet di Saint-Paul-de-Vence: in un clima sereno i bambini imparavano ad osservare l’ambiente in cui vivevano e a trarne apprendimenti significativi. Vedevo realizzato un esempio di Scuola “attiva”, ben lontana dalla scuola troppo “seduta”, tradizionale di quegli anni. Scoperte le tecniche Freinet (il giornalino di classe e la corrispondenza), subito le utilizzai
in classe.
Quando nel 1969, arrivarono a Mont-Blanc i primi elicotteri, perché a Champorcher stavano costruendo la gabbiovia del Laris, era impossibile restare in classe. Le lezioni si svolgevano allora “en plein air”, perché un’occasione del genere non poteva essere persa. Il territorio offriva a noi insegnanti preziosi incontri formativi come la scuola di scultura tenuta dal maestro Lucio Duc prima a Champorcher e poi anche a Donnas. Ricordo quando la maestra Rosa Glarey, che aveva organizzato i corsi e frequentava la scuola, mi disse: “Mica sei scesa da Mont Blanc solo per guardare? Prendi matita, scalpello e pezzo di legno e lavora”.
Ho continuato poi a studiare il territorio, partecipando a stages di formazione molto interessanti che si svolgevano a Sion in agosto per la preparazione degli insegnanti valaisans (L’étude des différents milieux), a corsi di formazione organizzati dalla sezione valdostana dell’Associazione degli insegnanti di scienze, a conferenze e uscite con l’Associazione degli insegnanti di geografia e con la Société valdôtaine de préhistoire et d’archéologie.
La Société de la flore valdôtaine organizzava ogni anno un concorso a cui la scuola di Vert partecipava, riguardava sempre aspetti del territorio valdostano. Sovente queste ricerche erano riprese per il “Concours Cerlogne”. Era naturale per noi che i progetti a scuola vertessero su tematiche legate al territorio. I progetti venivano realizzati anche in collaborazione con la scuola materna di Donnas-Vert e potevamo contare sulla consulenza di molti esperti, tra cui Ronni Bessi, dell’associazione Interguide, delle cooperative Habitat e Rhiannon.


Nel 1966, quando insegnavo a Lillianes-Fangeas, aiutai Jolanda Stevenin e Gioconda Vercellin a preparare qualche pagina della ricerca per il “Concours Cerlogne”. Erano più esperte di me perché avevano già aderito a questa iniziativa negli anni precedenti. Dal 1968/1969 partecipai con una mia classe. Mi aiutò la maestra Rosa Glarey con preziosi consigli e insegnandomi a scrivere il patois.
Partecipare alle mie prime giornate di formazione in preparazione del “Concours Cerlogne” fu una bella esperienza: a Saint-Nicolas, una trentina di insegnanti vivevano e imparavano insieme.
Le giornate di Saint-Nicolas ci spingevano ad uscire sul territorio per leggere e capire luoghi, persone e tradizioni. Successivamente, riportavamo al gruppo le esperienze didattiche realizzate. Ricordo ancora quando Ferruccio Deval ci presentò le prime diapositive che raffiguravano gli alberi della collina di Nus. Una novità assoluta! Partecipava anche Lucio Duc, il mio pensiero torna a lui con nostalgia.
Lucio, René Willien, Jolanda Stevenin, Gioconda Vercellin, Alys Barrel e molti altri insegnanti usavano l’ambiente come strumento didattico perché proponevano una scuola attiva, non una pedagogia da tavolino. La nostra scuola, sapeva di uva matura, di castagne, di erbe, di mucche e di latte appena munto. Sapeva anche di amore per la propria terra, di desiderio di valorizzarla e di farla conoscere. Queste persone furono i miei maestri, ispirarono il mio lavoro e condivisero con me la bella esperienza del “Concours Cerlogne”. Con loro anche Pierre Vietti (Batezar), Ernest Schüle, professore all’Università di Neuchâtel, Rose-Claire Schüle, etnologa, i proff. Corrado Grassi e Tullio Telmon dell’Università di Torino, Gaston Tuaillon dell’Università di Grenoble.
A Vert, ho sempre trovato degli insegnanti collaborativi, anche quelli che non conoscevano il patois si sono appassionati a questa lingua e al lavoro di ricerca per il “Concours Cerlogne”, contribuendo alla sua riuscita. Determinante, è sempre stata la collaborazione degli abitanti del luogo: genitori, nonni, personaggi con un ruolo nella vita sociale del paese, quali il sindaco, il Presidente delle Caves, della Pro Loco o del Comité Foire de St-Ours, il direttore della centrale idroelettrica, il casaro, il bottaio, il panettiere, ecc.
Tutti, si sono sempre prestati per un’intervista o per farci visitare i luoghi in cui operavano: faceva loro piacere spiegare ai bambini i segreti del loro territorio.

L’esperienza del GEV (Groupe d’Enseignants Valdôtains)

Negli anni ’80, alcuni insegnanti elementari valdostani sentirono l’esigenza di dare un nuovo impulso alla lingua francese, anche come lingua veicolare per lo studio delle discipline.
In realtà, mancava del materiale strutturato che riguardasse la Valle d’Aosta. Decidemmo allora di preparare delle schede di lavoro. Si arrivò anche, con l’aiuto dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione, alla pubblicazione di Au Val d’Aoste et ailleurs. De la préhistoire à la romanisation, un libretto sullo studio dell’ambiente per la terza elementare. Tale “brochure” completava Chez nous e Notre milieu di Jean Pezzoli e forniva nuove informazioni sulla preistoria della nostra Regione grazie alla collaborazione di Damien Daudry, presidente della Société valdôtaine de préhistoire et d’archéologie. Ricordo poi un interessante incontro al colle del Gran San Bernardo con un gruppo di maestri valaisans per discutere insieme le problematiche delle nostre scuole di montagna. L’incontro fu patrocinato dalla Regione e dall’Unesco.
Venne realizzato anche uno schedario, con più di mille problemi in francese, corredato da letture e attività di ricerca.

Problèmes

• Quand en 1978 la Doire Baltée a inondé le Bourg de Donnas, Paul, le boulanger, n’a pas pu faire le pain pendant trois jours. Si chaque jour il préparait 160 kg de pain qu’il vendait à 350 lires le kg, quelle a été sa perte?
• Faustin, le fromager de la laiterie de Clapey, nous a montré les caves où se fait l’affinage des tomes. Dans une cave il y avait 200 tomes encore fraîches, dans une autre il y en avait 400 plus affinées. Combien de tomes y avait-il en tout ? Faustin nous a dit qu’il prépare d’habitude 4 tomes par jour. Combien de jours lui a-t-il fallu pour faire toutes ces tomes ? Combien de mois ?


A Piero Brunet, si deve l’ideazione di gran parte del materiale di matematica e dei primi corsi di informatica. Tutto il lavoro di quegli anni proseguì poi (dopo le Adaptations des programmes del 1988/89) nell’ambito delle attività dell’IRRSAE, nato nel 1981. Furono avviati molti corsi finalizzati ad una migliore conoscenza del territorio e all’uso veicolare della lingua francese. Ho apprezzato, in particolare, le “Cours de formation scientifique”. Per tre anni consecutivi, alcuni docenti dell’Università di Grenoble ci hanno presentato un diverso approccio allo studio delle scienze, fatto di osservazione dei fenomeni naturali, di esperimenti, di formulazione di ipotesi e di verifiche.
Sempre intorno agli anni ’80, nacque il Centre pédagogique de coordination pour l’enseignement de la langue française en Vallée d’Aoste che ebbe, tra le varie attività, la pubblicazione della Gerbe (un giornalino ciclostilato che raccoglieva attività didattiche in lingua francese svolte nelle scuole)e della BTV (Bibliothèque de travail valdôtaine).
La BTV a pour but d’offrir aux instituteurs et aux élèves des instruments de travail spécialement conçus pour une approche de l’étude du milieu et de la civilisation valdôtaine ”.
La scuola di Vert realizzò allora La châtaigne chez nous e per molti anni si lavorò in classe con i libretti della collana. Ultimamente questi erano ancora presenti nella biblioteca della scuola e venivano usati per alcune delle nostre attività.
Conoscere sempre meglio l’ambiente in cui si vive, sotto il profilo storico, geografico e ambientale, è sempre stata ed è ancora, una mia esigenza. Apprendere qualcosa di nuovo appaga la mia curiosità e mi dà grande soddisfazione, poco importa se questa conoscenza arriva da un esperto o dall’esperienza di gente semplice.
Mi auguro di essere riuscita a trasmettere, almeno in parte, questa mia voglia di conoscere il territorio, in tutti i suoi aspetti, ai miei alunni. Se così fosse, potrei pensare di aver assolto al mio compito di insegnante.

Ilda Dalle
Maestra elementare di Donnas–Vert, in pensione. Insegnante dal 1965 al 2002. Esperta ed appassionata di storia e cultura locale, ha partecipato per più di 30 anni al “Concours Cerlogne”.

 

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