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Come fondare un progetto interculturale di cittadinanza

É urgente riflettere sulle categorie fondanti il concetto di cittadinanza per costruire una prospettiva pluralistica e dialettica che sappia coniugare universalita’ dei diritti e riconoscimento delle identita’ soggettive e culturali.

Metafore
Di fronte a bambini e adolescenti stranieri occorre guardarsi dalla tentazione di piegare la diversità a ciò che questa corrisponde nel nostro immaginario, così come evitare la facile semplificazione di dire "sono tutti uguali". Siamo certamente tutti uguali in dignità, ma diversi nei vissuti, nelle competenze. Purtroppo c'è sempre la tendenza a parlare degli immigrati in termini di folla, mentre si tratta di persone diverse, con soggettività e volti da conoscere.
E' importante allora riuscire a contestualizzare, dunque a frantumare quella immaginaria folla indistinta, in identità singole, autonome, perché la relazione è sempre fra persone.
E quindi vanno cercate e costruite le occasioni per imparare a definire insieme le regole del gioco, per porre le basi di un futuro in cui si possa non solo rispettare, ma valorizzare le reciproche diversità.
Due metafore spiegano in sintesi quello che dovrebbe essere il ruolo di una strategia educativa che vada in questa direzione:
la metafora dei due ricci e quella del corvo.
I due ricci sono nella tana e hanno freddo. Per provare a riscaldarsi decidono di avvicinarsi. Inizialmente si avvicinano troppo e così si pungono. Solo dopo vari tentativi riescono a sistemare gli spazi e si riscaldano senza farsi male. L'ambiente educativo è come la tana, dove ideare insieme i presupposti per una convivenza non sempre facile, ma che può essere piacevole e feconda. Una prospettiva che richiede coraggio, investimento culturale, innovazioni.
L'altra metafora racconta che il corvo una volta camminava normalmente, anziché saltellare in quel modo bizzarro.
Un giorno il corvo vede un uccellino saltellare e decide di imitarlo. Prova varie volte, non riesce, quindi cerca di riprendere il suo passo, ma ormai si è scordato anche quello. Oggi con un piede cammina e con l'altro saltella, rendendosi ridicolo.
Il rischio per il bambino straniero è di diventare come il corvo, se dimentica le proprie origini e non riesce a inserirsi nella nuova realtà: ormai estraneo alla famiglia e ancora straniero nella società. Per evitare che questo accada servono norme idonee e risorse, ma anche sensibilità e soprattutto aperture culturali e intellettuali tali da saper valorizzare il bagaglio dei minori stranieri e i saperi dei loro contesti d'origine in una prospettiva di trasformazione socioculturale e educativa in cui le parti si riconoscano.

Significato dell'educazione interculturale
E' importante partire dal presupposto che l'educazione interculturale consiste in un processo implicante una trasformazione di tutte le parti coinvolte.
Si possono intraprendere ed attuare tutti i percorsi didattici pronti all'uso, che di certo non mancano, ma ciò va sicuramente accompagnato, in primo luogo, dall'acquisizione della differenza come valore e come risorsa su cui impostare un processo di interscambio e di crescita comune.
E' chiara a questo riguardo la normativa nazionale in tema di immigrazione: “La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza: a tal fine promuove e favorisce iniziative volte all'accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d'origine e alla realizzazione di attività interculturali.(1)
In secondo luogo, l'atto di accogliere le differenze come valore richiede una seppure momentanea de-costruzione dei reticolati mentali e culturali. Ossia, il contrario di ciò che in genere accade in tutti i rapporti in cui i contesti di riferimento differiscono sul piano culturale, sociale, ma anche personale, allorché si tende ad irrigidirsi sulla base di precostituiti e rassicuranti schemi di interpretazione della realtà e delle persone con le quali entriamo in contatto. Entrare in una relazione interculturale significa allora accettare l'idea che questi schemi vanno messi da parte, per creare una situazione di attesa reciproca, ove siano garantite pari opportunità di espressione.
Pertanto, entrare in una relazione interculturale, ma soprattutto elaborare un progetto di educazione interculturale, significa accettare l'idea che tutto ciò che questo comporta, in termini di conoscenze, atteggiamenti, comportamenti, andrà a produrre un cambiamento. Cambiamento che non potrà limitarsi alla sfera circoscritta della dimensione psicologica, o emotiva, ma finirà con l'investire inevitabilmente anche la sfera sociale.
Lo schema seguente tenta di riprodurre le dinamiche che si mettono in moto nel corso di un processo interculturale, nello specifico in quello che si realizza nell'incontro fra scuola e alunni stranieri.(2)

Nel momento in cui ha inizio la relazione fra questi due attori, ha inizio anche il processo di de-costruzione, processo che interviene nel rapporto e va a raggiungere i due estremi della relazione stessa: la scuola - con i suoi costrutti teorici e istituzionali, con i suoi docenti e i suoi alunni, che, a loro volta, sono portatori e attori di pensiero - da una parte, e gli alunni stranieri - con i loro contesti originari, i loro bagagli educativi e, se già cresciuti, anche conoscitivi, le loro famiglie - dall'altra.
Il processo di de-costruzione in realtà è quasi automatico e comunque necessario per l'alunno immigrato e per le loro famiglie, costretti a rapportarsi al nuovo contesto, ma non è altrettanto automatico (anzi, come si è detto, spesso accade il contrario), per l'ambiente scolastico. Quindi questo è un aspetto che deve impegnare molto la scuola. Quando ciò avviene, in ogni caso, quando il processo di de-costruzione diventa effettivo, allora ciò produce un cambiamento, cambiamento che si riversa su entrambi i soggetti. La sfida, e l'obiettivo, dell'educazione interculturale come dei rapporti interculturali, è proprio questo: impegnarsi per il cambiamento.
Affrontare la questione degli immigrati impone alla scuola di rivedere i propri modelli formativi, di convivenza, di cittadinanza, e sollecita l'adozione di un orizzonte senza frontiere”.(3)

Il significato della mediazione culturale
Utile diventa così l'elaborazione di progetti ove si introducano le figure dei mediatori culturali, la cui vera funzione è quella appunto di "mediare" la diversità, fra alunno e scuola, fra scuola e famiglia, fra alunno e famiglia, e non certo meramente di "assistere" il "debole" alunno straniero. E il termine mediare non andrebbe inteso solo come tramite fra luoghi d'origine geograficamente distanti (la mediazione della lingua, per intenderci, può essere una funzione del mediatore culturale, non certo l'unica e non la più importante), ma come lettura e trasmissione di una visione storica, dinamica delle culture - quindi anche della cultura locale - individuando e descrivendone le trasformazioni nel tempo, trovando i punti di contatto e i momenti di incontro, evidenziandone la natura evolutiva, multiforme e mutevole. Pertanto, a ben vedere, non avrebbe senso parlare di una conservazione, di un mantenimento fisso della cultura d'origine, poiché è importante per l'alunno straniero rendersi conto che mentre egli è qui, lontano dalla sua cultura, la sua cultura cambia, e non sarà la stessa di oggi il giorno che vi farà ritorno, se vi farà ritorno.
Ma certo si può parlare di valorizzazione della cultura e di mantenimento della lingua d'origine (o di acquisizione della stessa qualora il bambino fosse nato nel paese ospitante), come elementi basilari, come fondamenta su cui innestare il nuovo processo di apprendimento linguistico e socioculturale.
Nello stesso modo, la presenza dello straniero potrebbe costituire uno stimolo per la scuola ad avviare, a sua volta, un processo di acculturazione, nel senso di cambiamento culturale derivante dall'incontro fra culture in trasformazione. Questo richiede progetti che coinvolgano alunni e docenti, improntati alla continuità, impostati sull'apprendimento di contenuti teorici, magari anche linguistici, e la sperimentazione diretta.
Un lavoro di mediazione culturale dovrebbe dunque basarsi su un concetto di cultura non come definizione di elementi statici, ma come strumento di conoscenza, di comprensione della trasformazione e del cambiamento sociale, di riflessione, attraverso anche la sperimentazione e l'esercitazione, sulla necessità di de-costruire presupposti e universi simbolici di riferimento, dati, appunto, come universali.
Quale può essere il ruolo della mediazione culturale nel favorire e accompagnare un processo di cambiamento come quello innescato dall'arrivo di alunni stranieri?
Un intervento educativo che tenga conto delle trasformazioni, dell'arricchimento ma anche del potenziale conflitto che vengono a generarsi nell'incontro/confronto fra alunni stranieri e non, fra alunni e insegnanti, fra famiglie immigrate e famiglie autoctone, e ancora fra famiglie e scuola, dovrebbe articolarsi intorno ad alcuni elementi, fra i quali la mediazione culturale rappresenta un momento centrale, anche se non l'unico. Tali elementi dunque potrebbero essere:

Limiti di conoscenza, individuale e collettiva (propria di una comunità)
Il primo passo consiste nel fare propria la consapevolezza dei limiti intrinseci alla conoscenza acquisita e del condizionamento esercitato dalle false conoscenze, costituite da stereotipi, preconcetti e pregiudizi. Certo le informazioni e le conoscenze acquisite sono importanti e utili anche per avvicinarsi ad altre informazioni e conoscenze, tuttavia è bene essere coscienti che esse spesso rappresentano una lente di distorsione
Tale consapevolezza può costituire un postulato educativo e auto-educativo per l'insegnante, tendente a favorire apertura e curiosità nei confronti del conoscibile, di ciò che è esterno ed estraneo, e quindi ad ampliare la capacità di analisi, di interpretazione e di comprensione di una realtà vasta, varia e complessa.

Poter esistere
Entra qui in gioco il ruolo specifico della mediazione culturale, che consente all'alunno immigrato di esprimere bisogni, incertezze e disagi, ma anche idee e pensieri. Lo rende capace di leggere la realtà che lo circonda, di appropriarsi delle risorse disponibili, di saperle utilizzare e ottimizzare. La mediazione fornisce dunque all'alunno straniero l'elemento mancante per una relazione paritaria, e così facendo restituisce valore e dignità alla sua persona e alle sue origini.

Rapporto conoscente/conosciuto
Un'azione educativa corretta deve inoltre essere in grado di definire il rapporto fra conoscente (chi si pone nella condizione di conoscere) e conosciuto (il soggetto, o la realtà che si intende conoscere), secondo una prospettiva non lineare, bensì circolare, di modo che il conosciuto diventa soggetto attivo che studia, interpreta e spiega il conoscente, in una relazione di reciprocità.

Interazione paritaria
Partendo dalla consapevolezza dei limiti di conoscenza, passando attraverso la forza che acquisisce l'alunno immigrato grazie al riconoscimento e alle risorse di cui viene in possesso (poter esistere) attraverso la mediazione culturale, nonché di un ruolo attivo nel rapporto di conoscenza reciproca, si vengono conseguentemente ad affermare le condizioni per cui alunni stranieri, famiglie e scuola nel suo complesso possono ri-costruire uno spazio di interazione e di collaborazione.
Oggi come oggi, nell'ambito dell'accoglienza sono state avviate numerose sperimentazioni e approntate varie metodologie. In ogni caso nelle situazioni reali pare di poter ravvisare i presupposti e la prassi di quella che viene definita come "educazione migratoria", per la quale il bagaglio originario costituisce un handicap, un limite da rimuovere e rimpiazzare per assicurare in tempi brevi l'adattamento al nuovo contesto. Ciò che nel migliore dei casi dà luogo ad un pluralismo residuale, un appiattimento della diversità su aspetti esteriori - scarsamente significativi sul piano dell'interazione effettiva -, che magari soddisfa l'immaginario e gli stereotipi di chi fa "accoglienza", ma non certo i bisogni reali e la dignità delle famiglie immigrate e dei loro figli.
E' evidente che una tale consuetudine non può che sfociare nella metafora del corvo, mentre quella che si dovrebbe realizzare è la metafora dei ricci, ossia l'instaurarsi di relazioni simmetriche che permettono alle persone di negoziare gli spazi e gli interessi in gioco (uguaglianza emancipante). Su queste basi è opportuno che si costruisca una metodologia di lavoro interculturale, la quale implica a sua volta e obbligatoriamente una politica di empowerment, che sostenga e rafforzi le parti deboli, in questo caso i cittadini immigrati, in tutti luoghi di vita.
Una prassi di empowerment è parte fondante di una strategia progettuale complessiva per le politiche di immigrazione, che si può riassumere nei seguenti punti:

Servizi di accoglienza e orientamento
Tali servizi vengono ad assumere una funzione sempre più centrale, poiché rappresentano il primo contatto con il territorio e le sue istituzioni.
Oggi non si può più parlare di immigrazione in generale, all'ingrosso, tanto per intendersi. Così come ormai si concorda sulla necessità di andare oltre un'accoglienza di tipo emergenziale, per costruire canali di accoglienza e di risposta ai bisogni che tengano conto delle diverse specificità di cui sono portatrici determinate fasce sociali. Infatti, come nella società in generale, anche fra gli immigrati sono presenti uomini adulti e single, donne, minori, anziani, persone con disagi o problemi. La questione è dunque come riuscire a definire risposte adeguate e progetti diversificati, e quindi come individuare soggetti, strutture, competenze e risorse che siano in grado di gestirli. Si può, certo, anzi si deve partire dai servizi già presenti sul territorio, ma è necessario potenziarli per adeguarli alle diverse necessità che comunque comportano il rapportarsi a individui che parlano una lingua diversa e hanno acquisito consuetudini e pratiche differenti. Per questo è essenziale, in questi servizi ancor più che altrove, la figura del mediatore socioculturale, come figura di continuità fra i due contesti.

Empowerment e promozione di diritti
Partendo dal presupposto che la condizione sociale dell'immigrato è una situazione di debolezza che va rimossa, una politica dell'immigrazione non può esimersi dal promuovere e sostenere iniziative atte a far acquisire, alle persone immigrate, conoscenze e strumenti per interloquire in una posizione di parità.
Per questo è necessaria la valorizzazione della persona e della soggettività in un contesto sociale attraverso attività di formazione, sia come scuola di cittadinanza - intesa come avvicinamento a e appropriazione di fondamenti, potenzialità, opportunità e limiti della realtà italiana e locale - sia in termini di aggiornamento delle competenze professionali.
La presenza degli immigrati dovrebbe inoltre essere prevista e in taluni casi definita per legge - come accade in alcuni paesi o come è previsto da noi per quanto riguarda, ad esempio, la presenza femminile - all'interno delle varie organizzazioni civili e istituzionali, dove salvaguardare e promuovere i propri diritti e soprattutto come opportunità di partecipazione attiva.
Fondamentale è anche la promozione e la valorizzazione di esempi positivi fra gli immigrati, persone che abbiano la possibilità di esprimere e mettere in atto competenze e abilità in campo professionale, culturale, artistico, sia per rafforzare sentimenti di autostima e di identificazione fra gli immigrati, sia per smuovere pregiudizi, resistenze e distanze nella società locale.

Progetto interculturale di cittadinanza
Come naturale conseguenza all'attuazione dei principi sopra definiti, verrebbero a crearsi le condizioni per cui cittadini immigrati e cittadini autoctoni possano ridefinire una casa comune, uno spazio di interazione e di collaborazione.
La tanto proclamata interculturalità deve però acquisire contenuti forti e sostanziali, che non possono prescindere dai seguenti elementi:
a) promozione dei diritti umani degli immigrati e rimozione delle cause di debolezza socioeconomica e politico-giuridica;
b) partecipazione autentica e attiva di questi cittadini dentro i luoghi in cui si individuano progetti e percorsi di attuazione, non solo sui temi dell'immigrazione, ma su tutti temi e le problematiche che caratterizzano la comunità ospitante;
c) possibilità per gli immigrati di contribuire a definire le "regole del gioco".
L'intercultura ha bisogno di parità. Studiosi anglosassoni parlano non a caso di pedagogia, educazione, politica antirazzista e antidiscriminazione come presupposti dell'interculturalità, dove non ci siano più una parte debole e una forte, ma due parti che interagiscono su un terreno di parità.
Un progetto interculturale di cittadinanza è un processo che va innescato, è un processo in continua trasformazione, dove gli attori sono consapevoli che la relazione avviene innanzitutto fra soggetti uguali, e che la mediazione socioculturale rappresenta un momento strategico per rimuovere la disparità sociale di partenza, avvicinando i contesti, valorizzando le competenze e i tratti linguistico-culturali degli immigrati.
Finché gli immigrati sono presenze invisibili, assenti nei luoghi in cui si parla di immigrazione e in cui si discute di problematiche del lavoro e del territorio in generale, finché non si attuano i meccanismi di rappresentanza e di partecipazione anche previsti dalla legge, è difficile pensare di innescare processi interculturali.
In conclusione, diventa necessario e urgente - in questo momento storico dove le trasformazioni in atto vanno a modificare le concezioni stesse di stato e di società - riflettere sulle categorie fondanti il concetto di cittadinanza, per costruire una prospettiva pluralistica e dialettica che sappia coniugare universalità dei diritti
e riconoscimento delle identità soggettive e culturali.
L'immigrazione rappresenta uno stimolo a ragionare su tali questioni e quindi a progettare il cambiamento. In tale contesto la mediazione socioculturale diventa uno strumento essenziale per garantire le pari opportunità nel confronto e per evitare di incorrere nel rischio dell'etnicizzazione - la semplificazione e la banalizzazione in chiave folcloristica di questioni complesse, come l'immigrazione e l'intercultura - che rafforzando gli stereotipi ostacola e snatura qualsiasi progetto di interazione, di convivenza e di partecipazione.

Adel Jabbar
Sociologo dei processi migratori e interculturali, RES (Ricerca e Studio) Trento.
Insegna Sociologia delle culture e delle migrazioni al biennio specialistico di Intercultura e
cittadinanza sociale, presso l'Università Ca' Foscari di Venezia.



Note
(1) D. Lgs 286, 25 luglio 1998, Testo Unico sull'immigrazione, art. 38, comma 3.
(2) Parlando di alunni è preferibile utilizzare l'aggettivo stranieri, anziché immigrati, poiché la condizione di immigrazione riguarda la famiglia, i genitori, non i figli minori che la subiscono passivamente. A maggior ragione il termine immigrato non si addice al figlio nato nel paese di accoglienza, mentre quello di straniero richiama le origini della famiglia.
(3) Zincone G. (a cura di), Primo rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia, Il Mulino, Bologna, 2000, cap. III, p. 245. Questi concetti sono anche ribaditi in varie circolari ministeriali, in particolare la c.m. n. 73 del 2.3.94, intitolata Dialogo interculturale e convivenza democratica: l'impegno progettuale della scuola.

 

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