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Quale cittadino, per quale mondo, con quale scuola?

COLLEGARE cittadinanza, mondo e scuola all’apprendimento, NON e’ facile, ma può appassionare. l’autore propone i concetti di autostima e di appartenenza, come elementi fondanti di un’educazione democratica e ricorda, inoltre, che la parola richiede il silenzio necessario all’elaborazione del pensiero e all’ascolto dell’altro.

Collegare queste tre espressioni, cittadino, mondo, scuola significa cercare di capire quali sono gli elementi che possono essere ripresi proprio a partire da queste tre realtà, cittadinanza, mondo e scuola, per l’apprendimento. Ed è tutto sommato semplice, ma di una semplicità apparente, perché, per capire l’apprendimento, bisogna considerare tre - chiamiamoli pure - ingredienti, come se si trattasse di costruire un piatto, di elaborare una ricetta. Bisogna coniugare l’autostima, l’appartenenza, e la finalità.
Intendo
l’autostima come la capacità di leggere il positivo che c’è in se stessi e, quindi, la possibilità di sentirsi attivi in una realtà ampia, in cui i confini sono fatti più per collegare che per separare. O meglio, separano per creare identità che comunicano, come i confini della pelle del nostro corpo: hanno una funzione, ma non tale da isolare. La nostra vita sarebbe impossibile senza scambio.E la scuola serve questo grande disegno, ha proprio una funzione di servizio in vista di una finalità: la conquista di competenze.
La finalità della scuola non è solo valorizzare le capacità individuali, ma trasmettere la scoperta delle connessioni di queste con i campi disciplinari. E tale compito attiva delle competenze. Capacità e competenza non sono sinonimi.
Il secondo termine indica una capacità che sa mettersi alla prova nei diversi contesti; si apre alla pluralità dei contesti. Per fare questo ha bisogno di imparare a rispettarne le diversità, a tenere conto del bene sociale.
Un esempio potrebbe essere quello dell’elettricista capace, ma non competente. Che cosa significa? Sa bene il suo mestiere, ma non ha la competenza di concretizzarlo e adattarlo nei diversi contesti che possono essere abitazioni, uffici, laboratori. Ogni ambiente ha caratteristiche esplicite ed implicite; essere competenti significa saper ambientare la capacità. (Al concetto di autostima ritorneremo poi).
Lego il concetto di
appartenenza, invece, al concetto di limite. Essere cittadini significa riconoscere che abbiamo ciascuno dei limiti, ciascuno la necessità degli altri, ciascuno la necessità di osservare delle regole che permettono a queste debolezze di costruire. Senza leggi, o con una loro utilizzazione strumentale in vista della realizzazione di un potere personale per la propria voglia di vivere a dispetto degli altri, le leggi diventano una inutile difficoltà, che il superuomo considera con negligenza. Le leggi servono, aiutano, permettono di superare le debolezze. Vi sono leggi ingiuste, ma è proprio grazie alla dimensione dell’appartenenza che è possibile lavorare per superarle. All’individualista non importa incontrare leggi ingiuste, se ritiene che non ostacoleranno le sue aspirazioni, o anche che potranno essere utili a realizzarle.
Ma l’individualista non è mai lungimirante, ed espone se stesso ed i suoi al rischio di scoprire all’improvviso che l’appartenenza all’umanità, ancorché negato, c’è. E che l’ingiustizia di una parte prima o poi mette in pericolo le sicurezze dell’altro.
Nella scuola, quindi, parlare di appartenenza significa dare attenzione e rispetto a tutti, non unicamente a chi si comporta diligentemente nei confronti dell’apprendimento.
E un’appartenenza che riguarda tutti, quindi non riguarda unicamente quelli che si comportano in un certo modo nei confronti dell’apprendimento, i bravi, i diligenti. Tutti, il che significa, per quanto riguarda la scuola, dare importanza alla pluralità delle strategie di apprendimento. Anche un soggetto in situazione di handicap ha pieno diritto di cittadinanza in una scuola dell’appartenenza. Appartenenza a una realtà che, dicono le "buone pratiche", accoglie e legittima i generi, maschile e femminile, le differenze culturali e anche le differenze di rendimento dovute a un possibile deficit in un soggetto. L’istituzione scuola dovrebbe praticare un concetto di appartenenza che assuma la realtà nella sua completezza, non riferirsi a una realtà "amputata", e selezionare i suoi appartenenti in base a un modello ideologico.
Questo è il grande disegno della democrazia. Strumento imperfetto si dice. La democrazia è un disegno imperfetto, certamente, perché l’uomo, la donna, i cittadini tutti sono imperfetti, quindi perfettibili:
è proprio dall’accettazione dei limiti di ciascuno che derivano le grandi potenzialità della democrazia.
All’opposto, l’assoluto porta agli integralismi, di natura religiosa, tecnologica, oggi addirittura di natura imprenditorial-politica. Possiamo azzardare questa nuova espressione? Forse è poco comprensibile, ma fa riferimento ad un disegno egemonico che attribuisce la bravura ad una parte, e che individua limiti solo negli altri. Il rischio diventa allora l’illusione di aver sempre ragione e quindi pensare che non occorre più sforzarsi di capire le ragioni degli altri.
Guai a costruire una concezione di sé senza limiti. È il primo attentato all’educazione alla democrazia. Per evitare di correre un tale rischio dobbiamo imparare a riconoscere gli elementi che costituiscono la storia degli altri e dobbiamo intraprendere lo studio della storia perché coloro che ci hanno preceduti e che l’hanno vissuta non ci possono accompagnare e guidare nella nostra vita. Conoscere la storia vuol dire accettare i suoi limiti ed evitare di manipolare le informazioni che i documenti ci danno, nell’illusione che, strumentalizzandoli, la nostra potenza ne possa risultare accresciuta.
La potenza vera sa di avere dei limiti e vive la necessità di incontrare gli altri come un compito fondamentale. Procedere a qualsiasi tentativo di strumentalizzazione, per aumentare il proprio potere o la propria ricchezza è operazione rischiosa e foriera di catastrofi.
Lo diceva già Voltaire, nel ’700: il terremoto di Lisbona, causa di morte di tante persone, era stato preparato dall’avidità di proprietari terrieri che non avevano esitato a speculare con la realizzazione di un’edilizia intensiva ed insicura.
La scuola può e deve fare la sua parte. L’apprendimento di ciascuno ha bisogno di quello degli altri.
Questo rapporto di ascolto, di accettazione e di collaborazione tra soggetti limitati e perfettibili è la radice della capacità di vivere il valore della democrazia.
Nella scuola le parole sono estremamente importanti e dovrebbero essere usate con grande attenzione anche ai silenzi e all’ascolto dei silenzi che portano con sé.
Le parole hanno una grande capacità di seduzione, ma sono anche molto fragili, sta a noi, come educatori, renderle sempre credibili. Come responsabili dell’apprendimento dobbiamo impegnarci affinché le parole non si ammalino, non si logorino, non perdano la loro forza, perché la loro debolezza apre la porta alla violenza: alle argomentazioni non devono sostituirsi i pugni o le pietre.
Il logoramento delle parole ha inferto già troppe ferite mortali al nostro mondo. Sulle parole si fonda la forza della democrazia, ma un uso distorto e sopraffattore della parola può farla ammalare. Ogni educatore deve essere convinto che ogni frase pronunciata ha un valore e, quindi, deve abituarsi ed educare a riflettere, ad ascoltare prima di lanciare parole al vento. Purtroppo oggi, a volte, abbiamo l’impressione che anche le parole che vengono dall’alto siano pronunciate senza riflettere.
A scuola, soprattutto, bisogna evitare di cadere nella trappola che fa della parola uno strumento per affermarsi sugli altri e non per comunicare.
È fondamentale ricordare che la parola esige il silenzio per pensare ed ascoltare. Implica attenzione, empatia, rispetto. Se si vogliono usare le parole per sopraffare tanto vale ricorrere ad altri mezzi più efficaci come la forza dei muscoli!
Ad un individuo che desideri affermare un’immagine di sé pacifica e capace di stabilire buone relazioni potrà capitare di perdere il controllo, ma saprà trovare i modi per riparare.
Esiste anche una relazione profonda tra democrazia ed autostima. Docenti e discenti non dovrebbero mai viversi come incapaci. L’apprendimento è possibile solo se chi apprende sa di poter apprendere. Paul Freire, il grande educatore brasiliano, lavorava sulla "coscientizzazione", ovvero sulla consapevolezza di sé, dei propri saperi, delle proprie potenzialità; ognuno di noi è portatore di conoscenze: anche un contadino analfabeta sa molte cose, quindi può imparare. Acquisire consapevolezza di aver imparato e di poter imparare ancora costituisce un rafforzatore dell’autostima e, quindi, un altro elemento fondante di un’educazione democratica. Ancora Paul Freire insisteva sul perché si può imparare: non solo perché si è capaci di farlo, ma anche perché si scopre che la conoscenza ha una finalità.
Individuare
finalità etiche e non solo funzionali all’insegnamento/apprendimento costituisce un’altra caratteristica di un’educazione ispirata a principi democratici. Sovente sono individuabili nel processo educativo finalità ridotte: andare a scuola perché è nostro dovere, per poi iscriversi ad un’altra scuola... sono tutte ragioni accettabili, ma poco convincenti, un po’ limitate. Occorre lavorare per passare da un’idea di apprendimento legato ad una stazione "istituzionale" della nostra vita (si va a scuola), all’apprendimento come stile di vita. Questa prospettiva consente realizzazioni personali, professionali, tecniche, scientifiche e si pone nell’ottica, facendo il bene del singolo, di migliorare democraticamente la società.
Tutto questo non è facile. Ma può appassionare. E, nonostante tutto, può trasformare l’insegnamento/apprendimento in una delle attività per cui vale la pena di stare al mondo.

Andrea Canevaro
Professore ordinario di Pedagogia Speciale.
Docente nel dottorato di ricerca di Pedagogia, presso l’Università degli Studi di Bologna.
Fa parte del Gruppo Tecnico dell’Osservatorio del Ministero della Pubblica Istruzione per l’integrazione scolastica degli studenti e delle studentesse in situazione di handicap.
Ha curato varie pubblicazioni relative ai temi di scuola, handicap e integrazione.

 

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