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Un bambino re


Quando Carlo di Borbone, per salire sul trono di Spagna dovette lasciare al figlioletto Ferdinando il regno di Napoli, il bambino aveva 8 anni. L’investitura è magnificamente rappresentata in una tela conservata nella Reggia di Caserta: il piccolo re è circondato da una marea di teste imparruccate e tutti i problemi del regno sembrano assediarlo attraverso le facce incipriate di dignitari e funzionari, che guardano verso di lui. È già un caso inconsueto nelle dinastie reali in quanto è terzo genito figlio di un terzo genito padre.
Nel corso del suo lunghissimo regno prenderà accanto al nome unico numeri diversi: IV come re di Napoli, III come re di Sicilia, I come re delle Due Sicilie. Non sappiamo se tutti questi “intitolamenti” gli abbiano procurato crisi di identità nella giovinezza e nella maturità; certo è che Ferdinando fu un bambino ed un adolescente in disagio iperattivo multiproblematico.
Lasciato dai genitori (la madre seguì il padre a Madrid) venne affidato ad un consiglio di reggenza paragonabile ad un … collegio dei docenti. Dentro questo organismo operavano due aristocratiche “funzioni obiettivo”. Un principe soprintendeva all’istruzione, ai ricevimenti, alla caccia, alla pesca, all’equitazione. Era il superesperto dell’area antropologica. Un marchese, esperto degli studi sociali, scriveva, senza successo, al re padre di come fosse necessario fornire al figlioletto “… cognizione degli affari, storia e geografia del regno”. Insomma le funzioni obiettivo erano in contrasto tra di loro e neanche il modulo didattico, appositamente formato, (4 / 5 insegnanti per un solo bambino…, troppi anche per un sovrano), brillava per efficacia. I maestri preposti vengono descritti come mediocri, parrucconi, e nel caso del principe, addirittura gretto e perfino vizioso. Le discipline, come si direbbe oggi, erano, anche allora, fortemente secondarizzate.
In questa scuola e con questi maestri il carattere poco equilibrato e aggressivo di Ferdinando, trova naturale fioritura. Lo stereotipo che lo accompagnerà fin da piccolo sarà quello di re lazzarone, oggi diremmo scugnizzo, oppure, con termine abusato, minore a rischio.
Alla lacuna affettiva si aggiunse la mancanza di amici adeguati. Essendogli impedito di frequentare nobili della sua età, Ferdinando andò a cercare amicizie e compagnie tra “servi stipendiati e gente di bassa condizione. Anzi si racconta che il suo migliore amico e adulatore fosse un servo di “inferiore rango di un servo che serve in livrea”.
L’età dei giochi sembra non passare mai. A quindici anni il re gioca davanti a tutti con le marionette, fa scherzi di pessimo gusto dentro e fuori le mura reali. Scandalizza tutte le corti europee, quando si traveste da pescivendolo e va a dare le grida al mercato.
Ad un anno dalla maggiore età, viene definito dai regnanti di mezza Europa “un contadinotto …, un ragazzo che ignora il passato ed il presente e non ha mai pensato al futuro”.
Al di là dei giudizi, nessuno prende provvedimenti. Il ragazzino non frequenta nessun progetto di recupero, non va in centri specializzati o riabilitativi. La sua diversità si risolve dentro la sua sovranità ed il suo caso non entra nello scenario delle politiche sociali del regno.
Giunto, in queste condizioni, alla maggiore età (16 anni) è doveroso per un re sposarsi. Figuriamoci se l’affetto che non ha mai avuto nell’infanzia e nella adolescenza, potrà riceverlo nel matrimonio, inteso, a quell’epoca, come un affare tra dinastie. Il primo patto nuziale venne stipulato con la quinta figlia dell’imperatore d’Austria. Subito si mise in moto tra Napoli Caserta Portici e Vienna un traffico di ambasciatori che portavano le lettere e i ritratti degli sposi per le reciproche conoscenze. Ma il destino volle che l’arciduchessina si ammalasse e morisse di vaiolo a soli sedici anni. Prontamente Ferdinando le organizzò nel palazzo reale di Portici una indecorosa rappresentazione del funerale. Tutti capirono che la morte prematura della sposa non aveva su di lui alcun effetto e l’unico problema era quello di non essere potuto andare a caccia. Era però già pronta Maria Carolina, sorella minore della prima. I due regali sconosciuti si sposarono per procura a Vienna e si incontrarono, dopo un mese, con i cortei nuziali a completo ai confini del Regno di Napoli.
Maria Carolina adolescente colta e raffinata, dotata di forte autostima e intraprendenza, ebbe un brutto colpo e le sue impressioni furono categoriche: “è assai brutto! … Lo amo per sentimento di dovere”, in ogni modo questi giudizi non le impedirono di fare con il re 17 figli pur imponendo in famiglia la sua supremazia caratteriale. Nel corso dei festeggiamenti nuziali che fecero drizzare la parrucca in testa al marchese di cui sopra (B. Tanucci), per l’esborso sproporzionato alle risorse del paese, gli sposini parteciparono ad un sontuoso ricevimento, in una tenuta poco distante dalla reggia di Portici, sulla strada detta del Miglio d’oro, in territorio di Resina (attuale Ercolano), zona di residenza estiva della nobiltà napoletana legata alla corte borbonica. Il proprietario, che era un certo capitano generale delle truppe del re Carlo, organizzò talmente bene la festa tra “vaghezza dell’illuminazione e squisitezza dei rinfreschi” che il re non poté fare a meno di comprarsi la villa ed il palazzo insieme, per farne dono alla sposa nel tentativo forse di farsi perdonare “il vero martirio e l’inferno” della luna di miele a Portici. In quella fastosa residenza la regina coglieva somiglianza con i fasti della sua casetta di Schönbrunn, la favorita. E Favorita si chiamò quella dimora, che si estendeva fino alla marina di sabbia e roccia vesuviana. Ed è in questo luogo, immutato nella sua monumentale bellezza, che 230 anni dopo, per uno scherzo del destino, trovano momentanea sede quaranta bambini e 8 animatori di un progetto per la prevenzione del disagio minorile e la dispersione scolastica, di cui vi parleremo nella prossima puntata.

Arturo Montrone
Insegnante elementare di Ercolano (NA), attivo nel Movimento di Cooperazione Educativa.

 

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