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Dendrogeomorfologia

RICERCHE DENDROGLACIOLOGICHE SUL GHIACCIAIO DEL MIAGE

Il Ghiacciaio del Miage è il simbolo dei ghiacciai neri o “debris covered glaciers” italiani e presenta caratteristiche uniche per il versante sud delle Alpi. La porzione terminale della lingua è colonizzata da una ricca vegetazione erbacea e da piante arboree, in prevalenza larici, che registrano nelle caratteristiche morfologiche del tronco e nella sequenza degli anelli di crescita annuali i movimenti e le sollecitazioni glaciali. L’analisi delle serie anulari condotte presso il laboratorio di dendrogeomorfologia del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Milano ha permesso di studiare la dinamica superficiale recente del ghiacciaio e di definire l’importanza strategica di questi ambienti per lo studio dell’evoluzione del territorio in risposta ai cambiamenti climatici.

di Manuela Pelfini
(Dipartimento di Scienze della Terra – Università di Milano)
IL GHIACCIAIO DEL MIAGE COME LABORATORIO SCIENTIFICO
Il Ghiacciaio del Miage, il principale ghiacciaio del versante italiano del massiccio del Monte Bianco, rappresenta oggi un vero e proprio laboratorio scientifico all’aperto.
Si tratta infatti del più rappresentativo ghiacciaio italiano coperto da detrito (debris covered glacier), inserito in un contesto paesaggistico esclusivo, dominato dalle alte vette del Gruppo del M. Bianco.

In un’area ristretta come la Val Veny è possibile studiare non solo i processi comuni in tutto il territorio alpino (glaciali, periglaciali, gravitativi ecc.) ma anche fenomeni rari per il territorio italiano. Infatti in un’area facilmente raggiungibile e ad elevata frequentazione turistica è possibile osservare elementi di rarità e di grande valenza scientifica e didattica.

Il Ghiacciaio del Miage possiede ad esempio un lago di contatto glaciale (il lago omonimo), soggetto a ciclici svuotamenti, sostenuto da un piccolo anfiteatro morenico e da una falesia di ghiaccio da cui è possibile osservare il distacco di icebergs e blocchi (fenomeno del calving). Questo processo è attualmente oggetto di studio dei glaciologi, in quanto il calving alpino non è solamente un fenomeno in aumento ma anche raro da monitorare.
 
Ancor più peculiare e inconsueta è la copertura arborea epiglaciale che si estende dall’origine dei due lobi frontali (figura1), dove sono presenti giovani individui alti solo pochi centimetri, fino al limite della fronte glaciale.


Figura 1 (a) I lobi frontali del Ghiacciaio del Miage
(foto M.Bozzoni)

Si tratta in prevalenza di larici, ma sono presenti anche abeti rossi, salici ed altre specie arbustive, che nella parte inferiore della “tenaglia”, danno origine ad una foresta aperta che trova la sua massima espressione sul lobo meridionale.

La vegetazione arborea è stata ben presto considerata un elemento fondamentale della valenza ecologica del ghiacciaio la quale, abbinata all’elemento rarità, ha portato a proporre il Ghiacciaio del Miage come geomorfosito glaciale.







I geomorfositi sono siti di interesse geomorfologico caratterizzati da particolari attributi e valenze che consentono di inserirli nelle proposte di valorizzazione del territorio. Un sito di interesse geomorfologico (o geomorfosito) infatti, facendo parte delle “opere della natura” rientra, accanto alle opere dell’uomo, nella categoria dei beni culturali.

Si tratta in questo caso di beni molto diffusi, spettacolari e forse tra i più facilmente acquisibili, in quanto elementi caratterizzanti e determinanti di ogni paesaggio. L’interesse per questi siti è relativamente recente: solo negli Anni Novanta del XX secolo inizia infatti a svilupparsi una “cultura scientifica in campo geo-protezionistico”.

Numerosi progetti di ricerca nazionali hanno visto il censimento e la formulazione di proposte di valorizzazione del territorio proprio attraverso di essi. Più recenti ancora sono gli studi in questo senso per quanto riguarda gli ambienti glaciali e periglaciali e solo nel 2003 viene proposto di includere i ghiacciai tra i geomorfositi sottolineandone l’importanza per quanto riguarda la loro velocità di evoluzione, di trasformazione e di contrazione in risposta al “global change”.

Per proporre una valorizzazione del territorio attraverso geomorfositi glaciali occorre seguire un approccio basato sulla conoscenza scientifica del bene geomorfologico, sulla conoscenza delle leggi naturali che ne regolano l'evoluzione e sulla conoscenza del suo valore per l'uomo. In particolare per qualificare un’evidenza del paesaggio come geomorfosito ci si deve basare su un valore complessivo derivante dalla sommatoria di valori conferiti da attributi di quattro tipi: scientifico, culturale, socio-economico e scenico.

Ciascun attributo trae il proprio valore da alcune valenze specifiche, che a loro volta possono assumere un valore più o meno elevato in rapporto alla rarità della forma considerata. Nell’ambito dell’attributo scientifico vanno considerati gli attributi che vedono il ghiacciaio come un modello di evoluzione, come esemplarità didattica, come testimonianza paleogeomorfologica, come supporto ecologico.

È proprio in questa sede che comincia ad essere valorizzato il Ghiacciaio del Miage. I numerosi dipinti e stampe storici, le descrizioni ad opera di personaggi illustri come De Saussure e Baretti gli conferiscono l’attributo culturale, l’elevata frequentazione turistica per escursionismo, alpinismo, sci, sci-alpinismo, arrampicate, ecc. ne documenta l’attributo socio-economico derivante anche dalla grande spettacolarità dell’area, che ne sottolinea l’attributo scenico.

Di particolare interesse è l’attributo scientifico. Il Ghiacciaio del Miage è l’esempio migliore di ghiacciaio “himalayano” delle Alpi, trasformatosi da ghiacciaio bianco a ghiacciaio nero alla fine del XIX secolo. Tale trasformazione ha inciso sulla sua dinamica; infatti, le variazioni di massa si traducono in variazioni di spessore, soprattutto alla fronte, che tende a rigonfiarsi o a deprimersi in relazione al passaggio delle onde cinematiche anziché muoversi lungo la valle come accade per i ghiacciai “puliti” (debris free glaciers).

Il Ghiacciaio del Miage rappresenta inoltre un eccellente modello di evoluzione specie in alcuni settori, quali l’anfiteatro morenico del Lago del Miage, le cui morene datate (una ventina) permettono di ricostruire la sua evoluzione tra il Neoglaciale e la Piccola Età Glaciale e diventano “testimonianza paleogeomorfologica” anche una testimonianza paleoclimatica.

La facile accessibilità al Lago del Miage, grazie alla strada che percorre il fondovalle, rende il ghiacciaio un modello di esemplarità didattica per la tipologia “debris covered glacier”, per la successione delle morene deposte, per la presenza del lago di contatto glaciale ed infine per la copertura vegetazionale indicativa della grande valenza ecologica, per la quale ancora il Miage costituisce il ghiacciaio più rappresentativo in territorio italiano.


LA VEGETAZIONE EPIGLACIALE E LA SUA DINAMICA IN RELAZIONE AI MOVIMENTI DEL GHIACCIO E DEL DETRITO

La parte terminale della lingua glaciale, coperta da detrito di spessore e granulometria variabile è soggetta ad un complesso di movimenti verticali ed orizzontali della massa glaciale sottostante, che condizionano lo sviluppo della vegetazione costituita da piante erbacee, arbustive ed arboree.

Sulla superficie glaciale le piante arboree presentano infatti sia fusti sciabolati, tipici di una continua deviazione dalla verticale, sia forme contorte, “avvitate”, che sottolineano continui movimenti del substrato con direzioni diverse (Figura 2).

Figura 2 Esempi piante deviate dalla verticalità a causa dei movimenti del substrato (foto E.Motta)

La risposta alle sollecitazioni ed alle variazioni ambientali, in questo caso in prevalenza ad opera del ghiaccio glaciale, viene documentata anche attraverso le caratteristiche morfologiche e dimensionali degli anelli di crescita annuale (tree rings).

La larghezza e le caratteristiche degli incrementi annuali variano infatti in risposta alle variazioni climatiche ed ambientali cui la pianta è soggetta.

Ciò fa sì che la vegetazione arborea in genere, ed in particolare per il Miage, la popolazione di larici epiglaciali, rappresenti uno strumento di ricerca estremamente prezioso, da un lato per ricostruire la dinamica glaciale attuale, e dall’altro per analizzare la risposta della vegetazione a particolari condizioni di stress.
Lo studio delle caratteristiche morfologiche e dimensionali degli anelli di crescita permette cioè di identificare e datare i fattori che hanno condizionato la loro crescita, compresi quelli attribuibili alla dinamica glaciale. Il legno di compressione, ad esempio, è tra i segnali più utilizzati per datare i movimenti glaciali; si tratta di un tipo di legno che la pianta forma per recuperare la verticalità del fusto persa a seguito del movimento del substrato o di una pressione laterale. L’anno di inizio di produzione del legno di compressione corrisponde all’anno in cui si è verificato il movimento (Figura 3).



Figura 3 Legno di compressione: le frecce
evidenziano l’anno di inizio di formazione del
legno di compressione in seguito ed eventi che
hanno deviato la pianta dalla sua verticalità
(realizzazione M.Santilli)

I larici colonizzano prevalentemente il lobo meridionale del Ghiacciaio del Miage, con individui alti anche qualche metro, la cui crescita è più difficoltosa rispetto a quella delle piante che crescono in area proglaciale e sui versanti. Questa tende ad essere minore sia in altezza sia in diametro, a parità di età, pur essendo le piante in grado di completare il loro ciclo vitale sul ghiacciaio, come dimostrato dalla presenza di coni su alcuni individui.

L’età dei larici epiglaciali è relativamente giovane; campionamenti realizzati a partire dal 2004 da parte dei ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Milano (Gruppo di Dendrogeomorfologia) hanno permesso sino ad ora di individuare solo pochi individui di età di poco inferiore ai 50 anni al momento del campionamento ed uno solo di 60 anni ubicato sul lobo frontale meridionale.







Ciò evidenzia un “tempo di vita” limitato a poco più di mezzo secolo (sulla base dei dati scientifici sino ad ora disponibili). Da un lato vi è una difficoltà di insediamento dovuta alle condizioni estreme, tipiche degli ambienti glaciali, dall’altro vi sono difficoltà di crescita legate ai processi glaciali stessi.

Figura 4 (a e b) Larici ubicati nella porzione inferiore del lobo meridionale del Ghiacciaio del Miage (Foto M.Pelfini 2004)









La posizione delle piante si sposta infatti di anno in anno verso valle, in relazione allo scivolamento del ghiacciaio, con velocità diverse nei diversi settori.
Il movimento delle piante verso valle determina la fine della loro esistenza una volta che esse raggiungono la fronte glaciale (figura 5); talvolta la fine può giungere in anticipo, per caduta in crepacci e cavità che si possono aprire sul ghiacciaio.


Figura 5 Larice caduto lungo la superficie della ice cliff in
seguito all’arretramento della stessa per ablazione
(Foto D.Brioschi)









A questo si deve aggiungere un’ulteriore causa di soppressione degli individui dovuta alla stessa dinamica evolutiva del ghiacciaio. Il Miage, come tutti i debris covered glacier, perde massa attraverso la ciclica apertura di falesie di ghiaccio (ice cliffs) in corrispondenza dei margini laterali, frontali ed in corrispondenza dell’apertura di crepacci e depressioni.
Sui debris covered glaciers le perdite di massa maggiori si concentrano proprio alla superficie delle ice cliff, dei crepacci e sulle pareti caratterizzate da ghiaccio “nudo” o coperto solo da un sottilissimo strato di detrito, dove l’ablazione è più intensa.

La copertura detritica epiglaciale infatti, quando supera uno spessore critico riduce l’ablazione, giocando così un ruolo importante nel controllo dei bilanci di massa glaciali. L’arretramento del margine superiore delle falesie intercetta il percorso della vegetazione provocando una perdita notevole di individui, spesso costituiti da novellame.

 

Figura 6 (a) Ice cliff presente lungo il margine esterno del lobo settentrionale del Ghiacciaio del Miage. L’arretramento della porzione sommitale provoca la caduta in scarpata delle piante che colonizzano la superficie glaciale (Foto D.Brioschi (a) e E.Motta (b) rielaborazione M.Pelfini)







Rilevamenti condotti nelle estati 2006 e 2007 hanno permesso di contare le piante localizzate in celle di 15 x 15 m e di identificare una densità media, che per il lobo settentrionale è pari a circa 18 piante per cella; il contemporaneo studio dell’arretramento della falesia nord (figura 6) permette di ipotizzare una perdita di oltre un centinaio di individui in una sola stagione estiva avente caratteristiche climatiche analoghe a quelle degli ultimi anni. Si tratta in questo caso di un processo di arretramento quasi parallelo (backwasting).

In altri casi l’inclinazione della scarpata di ghiaccio diminuisce mentre la stessa viene progressivamente ricoperta dal detrito (downwasting) come si è verificato lungo il margine interno del lobo meridionale tra il 2004 ed il 2006 arrestando il processo di arretramento e permettendo così alle piante di proseguire la loro corsa verso valle. (figura 7)

 

Figura 7 Il margine interno del lobo meridionale (a) nell’estate 2004 (foto M. Pelfini), e in una ricostruzione (b). Con linea tratteggiata verde è indicato il margine della ice cliff nel 2004; con linea tratteggiata azzurra il profilo delle falesie di ghiaccio nel medesimo anno; con tratto continuo viola la situazione nel 2005 (realizzazione M.Bozzoni). La situazione dell’estate 2007 è riportata in figura 1.










Il lobo meridionale è quello dove si concentra il maggior numero di piante nonché dove sono stati campionati i larici più vecchi. La loro età cambiale (età all’altezza del campionamento) tende ad aumentare verso valle sebbene l’escursione altitudinale tra la fronte e l’origine dei lobi sia di soli 200 m circa. L’età più comune tra gli alberi più vecchi campionati è intorno ai 30-40 anni verso la parte inferiore della lingua meridionale, 20-30 in corrispondenza del margine interno del lobo meridionale per poi diminuire rapidamente ravvicinandosi all’origine dei lobi (dati riferiti al 2005).


LA VEGETAZIONE EPIGLACIALE COME ARCHIVIO DI PROXI DATA GLACIOLOGICI
Come prima indicato le piante epiglaciali subiscono continue sollecitazioni da parte del complesso dei movimenti superficiali del ghiacciaio e del detrito superficiale, tanto più instabile quanto più intensi sono i movimenti glaciali.
Tutto ciò viene registrato dagli anelli di crescita annuale in sovrapposizione al segnale climatico. Il clima infatti è uno dei fattori che controllano lo spessore anulare; le caratteristiche fisiche degli anelli dipendono cioè nel loro complesso dalle condizioni di crescita dell’albero, legate a fattori stazionali (altitudine, suolo, substrato, esposizione, inclinazione del versante, luce) ed a fattori climatici (temperatura, precipitazioni, umidità, ecc.).
Ogni qual volta i parametri ambientali e climatici si modificano l’albero reagisce immediatamente attraverso tutte le sue componenti, e ne deriva un diverso spessore dell’anello annuale. In ambiente alpino le annate più fredde vengono testimoniate dalla formazione di anelli estremamente fini, leggibili come picchi negativi nelle curve dendrocronologiche, o addirittura dalla mancata produzione di legno per quel dato anno (anello mancante) (figura 8).



Figura 8 Esempio di tre cronologie di riferimento sensibili alle temperature estive realizzate nel Gruppo Ortles-Cevedale (elaborazione dati e realizzazione G.Leonelli).


Al contrario, ad una fase di miglioramento climatico la pianta reagisce con la produzione di un maggior quantitativo di legno, leggibile attraverso un più ampio spessore degli anelli.
In realtà il tutto è molto più complesso perché il segnale climatico si sovrappone ad altri segnali: da un lato la pianta segue un suo trend di crescita legato all’età, dall’altro tiene in memoria quanto ne ha influenzato la crescita nell’anno precedente (autocorrelazione); questi segnali costituiscono rumori di fondo che devono essere eliminati nelle indagini dendroclimatiche per rendere nitida l’informazione relativa al clima.


Ogni pianta epiglaciale testimonia una serie di disturbi di crescita che possono essere ricondotti ad una sollecitazione glaciale, se questi possono essere separati dalle cause climatiche. Per far ciò è necessario da un lato analizzare i singoli campioni (carote) e le singole curve di crescita, che mettono in relazione lo spessore anulare con gli anni calendario, dall’altro confrontare queste ultime attraverso metodi visivi, matematici e statistici e attraverso software dedicati, con le cronologie di riferimento.
Queste ultime rappresentano l’andamento medio della crescita di una popolazione di alberi in condizioni indisturbate, opportunamente filtrata in modo da rimuovere sia il trend di crescita sia l’autocorrelazione.

Un’analisi dendroglaciologica di questo tipo sui larici epiglaciali del Miage, condotta sempre dal Gruppo di dendrogeomorfologia dell’Università di Milano, ha permesso di evidenziare, datare e localizzare in carta, le anomalie di crescita riconducibili ai movimenti glaciali ed al passaggio di un onda cinematica, cioè di un onda che deriva dal trasferimento di massa glaciale, da monte verso valle, riconoscibile anche nelle immagini storiche, che mostrano la fase di rigonfiamento della porzione terminale della lingua negli anni ’80-‘90.

Le anomalie di crescita si presentano come brusche variazioni di crescita rispetto agli anelli precedenti, considerate indicatori di movimento, attendibili se presentati da almeno il 50% dei campioni per ogni area analizzata, come anni caratteristici o anni in cui più del 75% dei campioni mostra lo stesso trend (questi anni sono stati considerati eccezionali solo se non sono presenti nelle cronologie di riferimento) e come anelli caratteristici, cioè anelli singoli, abnormemente larghi o stretti (< del 40% o > del 160% rispetto all’anno precedente); a questi occorre aggiungere anelli mancanti, dotti resiniferi, variazioni di eccentricità e legno di compressione.


In particolare il confronto tra le cronologie medie ricavate da diversi gruppi di piante epiglaciali analizzate e le cronologie di riferimento ha permesso di identificare quegli anni in cui la crescita mostra andamento opposto nei due gruppi: le anomalie evidenziate nelle curve epiglaciali, qualora non presenti nelle cronologie di riferimento, sono state associate ed eventi di disturbo indotti dal ghiacciaio.
Sono state viceversa escluse le anomalie evidenziate anche dalle cronologie di riferimento (in questo caso vi è una causa comune ad entrambe le serie di curve, probabilmente in gran parte di tipo climatico). E’ stata così identificata la distribuzione temporale e spaziale dei disturbi di crescita riconducibile in dettaglio al passaggio dell’onda, che si è manifestata qualche anno prima e con maggior intensità sul lobo meridionale, come documentato sia dalla maggior presenza dei disturbi di crescita nelle piante sia dai dati di sollevamento della superficie glaciale. (Figura 9)


Figura 9 Indicatori di disturbo alla crescita in piante epiglaciali. I segnali si concentrano in prevalenza sul lobo meridionale evidenziando anche uno sfasamento temporale. Il grafico permette di identificare il passaggio di un “onda” che trasferisce massa dalle parti alte del ghiaccio a quelle inferiori, provocando sollevamenti della superficie glaciale e disturbando la crescita della vegetazione arborea. Le variazioni di volume hanno interessato dapprima, e con intensità maggiore, il lobo meridionale. (Da Pelfini et al., modificato)











CONCLUSIONI
La vegetazione arborea epiglaciale rappresenta indubbiamente non solo la valenza ecologica del Ghiacciaio del Miage ma anche un elemento di rarità. Sebbene infatti numerosi ghiacciai alpini si stiano trasformando in half debris covered glaciers e in debris covered glaciers, pochi presentano le caratteristiche favorevoli all’insediamento della vegetazione arborea. Limiti altitudinali innanzi tutto ma anche stabilità del ghiaccio e del detrito nonché lo spessore e la granulometria di quest’ultimo, rappresentano elementi fondamentali per l’insediamento e la colonizzazione.
I risultati delle indagini dendroglaciologiche sul Ghiacciaio del Miage hanno così spostato progressivamente l’attenzione da una pura definizione di valenza ecologica alla consapevolezza di poter disporre di uno strumento per il monitoraggio dei movimenti superficiali e delle modificazioni della porzione terminale della lingua glaciale, in grado di fornire un utile contributo alla conoscenza della dinamica attuale.
La scomparsa della falesia presente al margine interno del lobo meridionale tra l’estate 2004 e l’estate 2006 e l’apertura e chiusura di piccole finestre in ghiaccio lungo i margini frontali nell’arco di una sola stagione mostrano come i cambiamenti in corrispondenza delle porzioni glaciali inferiori possano essere molto significativi e possano coinvolgere gli spostamenti verso valle della vegetazione controllandone il tempo di vita e di conseguenza la loro capacità di agire come registratori della dinamica glaciale più recente. Tuttavia proprio l’estrema sensibilità ai cambiamenti ambientali fa sì che la vegetazione arborea epiglaciale possa fornire un utile contributo prima di tutto alle indagini glaciologiche ma anche a quelle relative ad altri temi di ricerca. Sebbene molto studiato anche dal punto di vista dendroglaciologico, il Ghiaccio del Miage continuerà infatti ad essere oggetto di studio; nelle ricerche dendroglaciologiche la vegetazione rappresenta più che altro uno strumento di analisi ed un metodo di datazione ma molto c’è ancora da scoprire circa gli aspetti ecologici e fisiologici, di interesse più strettamente biologico e molto c’è ancora da studiare circa il segnale climatico e la ricostruzione degli eventi glaciali e geomorfologici che hanno interessato le aree limitrofe al Ghiacciaio del Miage.


RINGRAZIAMENTI
Le ricerche di dendroglaciologia sul Ghiacciaio del Miage sono state realizzate con il contributo finanziario dei progetti di ricerca nazionali Miur-Cofin a partire dal 2003 e grazie alle autorizzazioni concesse dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali; le analisi sono state condotte presso il laboratorio di Dendrogeomorfologia del Dipartimento della Terra dell’Università di Milano e ad esse hanno partecipato a diverso titolo ricercatori e cultori della materia (M. Bozzoni, D. Brioschi, V. Garvaglia, G. Leonelli, M. Santilli) che si ringraziano. Ringraziamenti anche al prof. Smiraglia per i confronti con i dati glaciologici.


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