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Interreg - Spazio Alpino

PROBLEMATICHE PRODUTTIVE ED AMBIENTALI DELLE AREE TERRAZZATE

Il progetto ALPTER – “Paesaggi terrazzati dell’arco alpino”, co-finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Interreg IIIB Spazio Alpino, ha preso in esame il problema dell’abbandono delle aree terrazzate ad uso agricolo e le conseguenze di questo processo, ossia perdita di identità storico-culturale, diminuzione dei terreni agricoli, aumento del rischio idrogeologico.Il progetto ALPTER – “Paesaggi terrazzati dell’arco alpino”, co-finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Programma Interreg IIIB Spazio Alpino, ha preso in esame il problema dell’abbandono delle aree terrazzate ad uso agricolo e le conseguenze di questo processo, ossia perdita di identità storico-culturale, diminuzione dei terreni agricoli, aumento del rischio idrogeologico.

di Silvia Stanchi, Michele Freppaz, Cristina Galliani, Valeria Revelchion, Ermanno Zanini
(DiVaPRA, Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Torino; Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali, Regione Autonoma Valle d’Aosta)
Il ruolo dell’Assessorato Agricoltura e del DIVAPRA nell’ambito del partenariato di progetto si è realizzato con l’analisi dei paesaggi terrazzati dal punto di vista pedoclimatico, individuando nella Bassa Valle d’Aosta le aree pilota sottoposte a studio.


I terrazzi paesaggi e suoli artificiali
Le aree acclivi sono state modellate nel corso dei secoli dall’attività dell’uomo tramite interventi che si sono susseguiti e sovrapposti nel tempo, al fine di consentire lo svolgimento delle pratiche agricole utilizzando razionalmente i territori montani.
Così, i terrazzamenti, consistenti nel contenimento di un riporto di terra mediante un muro a secco con l’impiego esclusivo di materiali reperibili in loco, sono stati realizzati dall’uomo per aumentare le superfici agricole coltivabili, oltre che per risolvere problemi di conservazione del suolo e gestione delle acque.
Infatti, modificando le geometrie dei versanti (lunghezza e pendenza) si ha un controllo dell’erosione riducendo il ruscellamento lungo la pendice e favorendo l’infiltrazione dell’acqua. Questo ha quindi come riflesso diretto una maggior quantità di acqua disponibile per le colture.

I terrazzamenti non nascono come elementi paesaggistici, ma sono stati originati dallo sforzo collettivo di chi, per necessità, ha dovuto risolvere il problema della sussistenza e della possibilità di radicarsi in ambienti sfavorevoli.
L’esigenza di intensificare l’attività agricola ha prodotto la nascita dei terrazzamenti che, creando limitate superfici pianeggianti e sfruttando esposizioni favorevoli, ha permesso lo sviluppo di un’agricoltura di montagna che, a sua volta, ha legato comunità più o meno numerose ai propri territori.

I suoli delle aree terrazzate presentano in genere una pendenza inferiore al 10%, con profondità variabili in funzione del tipo di coltura. In aree quali la Bassa Valle d’Aosta, i suoli vitati presentano profondità anche di 70 cm, permettendo un efficace sviluppo dell’apparato radicale della vite.
La prevalenza o meno di materiale fine nei suoli dei terrazzi dipende in maniera significativa dalle caratteristiche dei materiali di partenza. In genere la costruzione dei terrazzi determina un miglioramento complessivo delle caratteristiche agronomiche dei suoli, sintetizzabili in un aumento di spessore utile esplorabile dalle radici, di sostanza organica (grazie alle frequenti letamazioni) e della ritenzione idrica, così come una riduzione del contenuto di scheletro. 


Terrazzamenti a pergola e, sullo sfondo, vigneti a spalliera nella zona di Montjovet

Veduta panoramica dei terrazzamenti di Thzatè nel comune di Arnad
 

Caratteristiche dei sistemi produttivi delle aree terrazzate
I terrazzamenti sono diffusi, con tecniche, materiali e risultati diversi, in molte parti del mondo. In Europa (Italia, Svizzera, Francia, Austria, Spagna, Grecia, Slovenia) sono presenti in molte zone montane dove sono coltivati soprattutto a vite, olivo, castagno o utilizzati per il pascolo e per la produzione di foraggio da sfalcio.

In termini generali le agricolture di montagna sono caratterizzate da alcuni aspetti negativi, come polverizzazione fondiaria, poca agibilità degli appezzamenti, scarse possibilità di meccanizzazione, basse produzioni, scarsa preparazione imprenditoriale dei proprietari, lontananza dai mercati. In ogni modo, questi fattori negativi sono spesso compensati da condizioni pedoclimatiche ottimali, che possono garantire qualità e tipicità dei prodotti e quindi un’alta vocazionalità dell’ambiente di produzione.

Nel caso di colture arboree da frutto, un problema comune può essere costituito dall’età delle piante e dal tipo di materiale scelto al tempo della messa a dimora delle piante stesse.
Ad esempio, per i vigneti non è raro trovare impianti con età medie intorno ai 50-60 anni, con un’alta disetaneità legata alle sostituzioni delle piante morte o malate, e con genotipi spesso scelti sulla base della loro produttività e non per la qualità delle produzioni vinicole.

Non ultimo da considerare come elemento critico nelle filiere produttive nelle aree terrazzate è il fattore umano. Infatti, la manodopera in questi ambienti non solo è scarsa, ma anche con età media elevata perché i giovani tendono ad allontanarsi da questi ambienti andando verso le città o i centri posti nelle valli.



 

Terrazzamento ben integrato con il paesaggio naturale ad Arnad

Coltivare i terrazzi
La coltura della vite è sicuramente una delle realtà produttive più rappresentate nelle aree alpine terrazzate. Al momento attuale si stimano quasi 200.000 ha di vigneti di montagna in Europa, di cui 93.000 ha in Italia, 31.000 ha in Austria, 2.000 ha in Spagna, 23.000 ha in Germania, 12.000 ha in Francia, 6.000 ha in Portogallo e 3.800 ha in Svizzera.

Queste viticolture “eroiche” sono caratterizzate da variabili pedologiche, climatiche, varietali, di forme di allevamento, tipiche delle varie regioni (ma spesso mutevoli da comune a comune) e da caratteristiche organolettiche dei vini uniche.

Data la complessità dei vari fattori (produttivi, socio-economici, paesaggistici) che intervengono intorno alla coltivazione della vite nelle aree di montagna, si può parlare di vigneti polifunzionali:
  1. vigneti con funzione produttiva prevalente – vigneti posti in zone particolarmente vocate per caratteristiche pedoclimatiche, dove la viticoltura va incentivata e, se possibile, adeguata a criteri di produzione attuali (introduzione di nuove varietà, pratiche colturali adeguate, ecc);
  2. vigneti con funzione paesaggistica – vigneti di interesse paesaggistico, per i quali è necessario prevedere vincoli che ne impediscano la destinazione ad altri usi;
  3. vigneti con funzione conservativa del paesaggio – vigneti che rivestono una funzione di conservazione del territorio contro il dissesto idro-pedologico, per i quali è necessario incentivare il mantenimento o prevedere altri tipi di coperture artificiali o naturali;
  4. vigneti privi di funzioni di rilievo - vigneti ormai quasi scomparsi sotto la pressione dell’attività antropica.

     

Risalita di un ripido versante terrazzato nella zona di Pont-Saint-Martin

Un discorso a parte merita la coltivazione dell’olivo nelle Alpi. Esistono numerosi documenti che attestano la presenza di olivi nella Bassa Valle d’Aosta, soprattutto nel Medioevo e alla fine del 1700. Queste testimonianze confermano una diffusa coltivazione di specie tipicamente mediterranee in ambiente alpino, a quote comprese generalmente fra i 500 e 700 m s.l.m.. Probabilmente la scomparsa della coltura dell’olivo è in parte dovuta al raffreddamento climatico, avvenuto durante la Piccola Età glaciale.
Attualmente, l’innalzamento delle temperature ha creato le condizioni climatiche che permetterebbero a questa pianta di poter nuovamente vegetare ed avere delle ottime produzioni in alcune zone dello spazio alpino.
L’impianto di questa coltura, senza recare danni alle altre realtà economiche, permetterebbe il recupero di terrazzi abbandonati. L’olivo è una pianta che si adatta molto bene in zone interne, nella media collina, e riesce a fruttificare anche in ambienti con un clima temperato-freddo, se al riparo dai venti. Tollera le rigide temperature invernali perché entra in riposo vegetativo precocemente e in modo continuo per tutto l’inverno, non sopporta invece un elevato tasso di umidità.

Tra le altre colture idonee ad occupare le superfici terrazzate dello spazio alpino, quelle a più alto valore aggiunto sono sicuramente il pero, il melo, i piccoli frutti, le patate e le piante officinali.

Per quanto riguarda il melo ed il pero, occorre che il suolo dei terrazzi abbia un’adeguata profondità. Tale limitazione può essere superata con la microirrigazione, ad esempio a goccia, che favorisce lo sviluppo di apparati radicali superficiali. In ogni modo, se si decide di impiantare colture arboree, occorre considerare il rischio di alterazione strutturale che l’eventuale nuovo impianto potrebbe procurare sulla stabilità dei sistemi terrazzati.
Le piante arboree, infatti, possono determinare fenomeni di dissesto attraverso la pressione esercitata sulle pareti interne dei muri dei terrazzi dai loro apparati radicali e dal peso stesso della massa legnosa gravante sull’intero terrazzo.

La ridotta presenza di scheletro, che generalmente caratterizza i suoli dei terrazzi, può favorire la coltivazione della patata, la quale predilige terreni che non ostacolino lo sviluppo delle parti ipogee.

I piccoli frutti rappresentano sicuramente un’efficace opzione colturale, per la bassa meccanizzazione necessaria, l’alta redditività e il facile adattamento alle diverse condizioni climatiche. La profondità ridotta del suolo in questo caso non costituisce un fattore limitante. La superficie investita a frutti di bosco in Italia è di circa 350 ha, con una produzione complessiva di circa 3.000 t, e il fatto che le importazioni di questi prodotti si aggirino intorno a 10.000 t, fa pensare che ci sia ancora spazio per queste colture. La loro rusticità e adattabilità a climi e suoli differenti, e la bassa meccanizzazione necessaria, con un limite altitudinale che si aggira intorno agli 800-1.000 m (con punte superiori per fragola e lampone), rende i frutti di bosco una coltura adatta a valorizzare le superfici terrazzate inutilizzate o abbandonate dell’arco alpino.

Le erbe officinali sono ricercate per la produzione di molti prodotti di erboristeria, farmaceutici e come aromatizzanti nel settore dei liquori.
Dal punto di vista agronomico sono ideali le fasce meno elevate e meglio esposte, dove si possono adattare specie termofile (rosmarino, salvia, lavanda, maggiorana, timo, zafferano). Con esposizione sud, grazie alle somme termiche raggiunte e ai terreni prevalentemente sabbiosi dei terrazzi montani, dove non sussiste quindi pericolo di ristagno idrico, si possono ottenere grandi risultati con la coltivazione di piante destinate alla produzione di principi attivi aromatici, quali gli olii essenziali.
Nelle aree con esposizioni meno favorevoli, e quindi caratterizzate da temperature più basse si possono coltivare menta selvatica, valeriana, angelica ed altre essenze.
Salendo di quota, con elevate escursioni termiche tra giorno e notte, si hanno le condizioni ottimali per la coltivazione della calendula.


Abbandono e recupero delle aree terrazzate
Uno dei problemi ambientali che molti paesi europei si trovano a fronteggiare ormai da decenni è quello della dinamica post-colturale legata all’abbandono dei terrazzi.

Come si intuisce, si tratta del problema della gestione delle aree agricole marginali che, in seguito all’abbandono delle coltivazioni che non sono più redditizie, sono lasciate a se stesse, ritornando sotto il dominio dei fattori ambientali, spesso dopo secoli o millenni di coltivazione.

L’abbandono improvviso delle pratiche agricole determina un’evoluzione (successione secondaria) che segue tempi e modalità diverse, secondo i casi, verso un nuovo equilibrio dettato dalle condizioni ambientali presenti.
Per esempio, se si prendono in considerazione i vigneti terrazzati nella media Valle d’Aosta, le prime specie ad invadere le coltivazioni in abbandono sono le specie tipiche delle siepi (rose, rovi, crespino, ligustro…), come fasi di transizione verso un querceto xerofilo di roverella, di lento sviluppo; su terreni smossi e a falda superficiale prevale invece l’olivello spinoso.

L’abbandono delle aree agricole terrazzate delle regioni alpine negli ultimi trent’anni ha comportato una perdita di suolo produttivo, un aumento del rischio idrogeologico, una perdita di biodiversità e di un ricco patrimonio culturale.

La conservazione dei paesaggi terrazzati in ambiente alpino deve essere attuata tenendo in considerazione il fatto che i terrazzamenti agricoli sono localizzati per la maggior parte sulle pendici montane meglio soleggiate. Ne deriva che in numerose zone essi potrebbero divenire sede privilegiata per coltivazioni diverse da quelle del passato, ma anche di notevole pregio e, come tali, suscettibili di dare origine a prodotti alimentari di elevata qualità collocabili sul mercato.

Nell’ipotesi di un recupero produttivo dei terrazzi abbandonati è di fondamentale importanza tenere in considerazione le caratteristiche pedologiche dei siti, in grado di condizionare in maniera significativa la produzione delle colture agrarie (es. spessore utile alle radici, tessitura, reazione).

Occorre poi considerare che la difficoltà di accesso ai fondi e la ridotta possibilità di meccanizzazione, possono limitare fortemente la redditività di qualunque coltura agraria, in particolare nello spazio alpino.
Tuttavia, studi recenti hanno evidenziato che interventi troppo drastici, atti a favorire la meccanizzazione di queste aree, potrebbero portare ad un impoverimento dei suoli e innescare fenomeni di run-off ed erosione.
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