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Viticoltura

IL MAL DELL’ESCA IN VIGNETO UN COMPLESSO DI MALATTIE

Patologie fungine associabili al “mal dell’esca”, decorso della malattia e metodi di lotta

di Fabrizio Prosperi
Puntualmente anche quest’anno, nel pieno della stagione estiva, il mal dell’esca ha fatto la sua comparsa, recuperando in fretta, in termini di viti colpite, il ritardo di stagione dell’annata.
Ormai tutti i vignerons hanno imparato a riconoscere i sintomi spesso molto evidenti del mal dell’esca e, con rassegnazione, a causa dell’assenza di un trattamento curativo, ogni anno fanno la conta delle piante morte che aumenta di stagione in stagione, interessando anche viti giovani dalla vigoria e dall’aspetto apparentemente sano.


Patogeni fungini associabili al mal dell’esca e sintomatologie correlate

A differenza di altre patologie viticole, il mal dell’esca o mal dello spacco, conosciuto fin dall’epoca dei Romani, non è dovuto ad un solo patogeno, ma da una serie di funghi che, in base all’età della pianta, delle condizioni edafiche e nutrizionali e dal sistema di allevamento, manifestano sintomatologie e deperimenti molto diversi tra loro. Pertanto, in base alle attuali conoscenze, si possono distinguere due diverse malattie che possono manifestarsi singolarmente o in modo associato:

1. carie bianca del legno, ascrivibile al fungo Fomitiporia mediterranea; il decadimento del legno inizia a manifestarsi nella parte più vecchia del fusto, in corrispondenza del midollo e delle cerchie legnose più interne, poco o nulla funzionanti. Il tessuto legnoso si trasforma in una massa cellulosica spugnosa, friabile, giallastra che può estendersi in senso longitudinale e radiale e talvolta affiorare fino alla superficie determinando la formazione di fenditure lungo il fusto.


2. striature brune e rosate del legno e gommosi, associabili ai funghi Phaemoniella chlamydospora (Pch) e Phaeoacremonium aleophillum (Pal) che producono una tracheomicosi.

Si assiste ad un avvizzimento della vegetazione, fruttificazioni comprese, dovuto a disfunzioni dell’apparato vascolare, causato dalla presenza del patogeno nei vasi xilematici (ovvero quelli che trasportano acqua e sali minerali dalla radice alle foglie) sempre più vicini al midollo che alla periferia, della sua attività metabolica consistente nell’emissione di tossine, degradazione delle pareti cellulari e da reazioni della pianta (tillosi e gommosi).



L’avvizzimento è di natura occlusiva, aumenta cioè la viscosità del fluido traspiratorio intasando pori e pareti dello xilema. Lo stress idrico che segue causerebbe uno scompenso respiratorio, i tessuti fogliari perderebbero turgore e infine andrebbero incontro a disidratazione. Inoltre le micotossine amplificherebbero tale scompenso, soprattutto nelle viti adulte in cui le infezioni possono generare al massimo una parziale riduzione del flusso
idrico. Le sostanze prodotte si ossidano, assumendo una colorazione brunastra nel legno, mentre trasportate a livello della chioma, conferiscono i caratteristici sintomi cronici (tigratura su foglia) e maculatura su grappolo. Su foglia nelle porzioni parenchimatiche internervali le aree clorotiche tendono a confluire e a necrotizzare; rimangono verdi solo intorno alle nervature principali.

L’azione degli ultimi due agenti fungini possono dare origine a numerose sindromi, in base all’età della pianta colpita, ovvero:

• venature brune delle barbatelle
, che interessano solo le barbatelle, i portainnesti e le marze, originate da Phaemoniella chlamydospora (Pch) e Phaeoacremonium aleophillum (Pal); tali striature hanno un andamento basipeto dal punto di innesto e possono essere presenti nei tessuti anche senza nessun sintomo all’esterno;

• malattia di Petri, che interessa solo giovani viti, originate da Phaemoniella chlamydospora (Pch), che si manifesta con scarsa vigoria della pianta, clorosi e necrosi fogliari;

• esca, originata da Phaemoniella chlamydospora (Pch) e Phaeoacremonium aleophillum (Pal), su viti in piena attività, con o senza manifestazioni esterne, che produce striature marroni o nere nel legno e gommosi nei vasi xilematici, senza la presenza di carie.



Queste tre manifestazioni costituiscono il complesso esca; inoltre a questa malattia si può associare anche la carie bianca, originata da Fomitiporia mediterranea, che può produrre sintomi esterni oppure no.

In campo, nella maggior parte dei casi di piante adulte ammalate da quello che prima era definito dal mal dell’esca, carie bianca ed esca coesistono.
La Phaemoniella chlamydospora (Pch) è la responsabile delle necrosi brune e dure nel legno e delle necrosi scure punteggiate; si diffonde nell’aria tramite le spore soprattutto nel periodo invernale, in concomitanza delle piogge e penetra nella vite attraverso ferite di varia origine.
Il Phaeoacremonium aleophillum (Pal) è invece responsabile delle necrosi rosa nel legno, che tendono ad imbrunire con il passare del tempo; si diffonde nell’aria soprattutto nel periodo vegetativo della vite e penetra anch’esso attraverso ferite di varia natura, i particolare in concomitanza di periodo piovosi.
La Fomitiporia mediterranea è la responsabile della carie bianca del legno e degrada il legno già colonizzato dal fungo dell’eutipiosi o da Pch e Pal.


Decorso della malattia
Il “complesso esca” possiede la capacità di manifestarsi sotto diverse forme e con tempi, modalità e frequenze non preventivabili; inoltre la malattia può essere presente nella pianta e non manifestarsi (esca nascosta), oppure si può presentare nelle forme sotto descritte (esca manifesta).
In generale si possono definire due manifestazioni principali:

1. decorso acuto, in cui la pianta è soggetta a deperimento e a conseguente morte nel giro di pochi giorni, soprattutto nel periodo estivo di maggiore calore. Questa manifestazione è anche chiamata apoplessia e, ultimamente, tende ad essere attribuita non solo agli agenti patogeni dell’esca e/o della carie bianca, ma anche ad altre patologie di varia natura. Pertanto, non sempre le viti affette da apoplessia possono essere ricondotte al complesso esca, ma magari a cause fisiologiche, nutrizionali o fungine di altra natura come Armillaria mellea o Rosellinia necatrix.

2. decorso cronico
, in cui le manifestazioni classiche (tigratura delle foglie, avvizzimento delle infiorescenze o delle fruttificazioni, decolorazione punteggiata o internervale delle foglie) si manifestano con frequenza irregolare e possono non ripresentarsi più l’anno successivo; in questo caso la vite non muore, ma la maturazione dell’uva non è soddisfacente in termini di accumuli zuccherini e polifenolici. Inoltre, per aumentare la confusione nel viticoltore, si può presentare una remissione naturale e definitiva dei sintomi, legata probabilmente ad eventi stagionali climatici e biotici in genere.



Si deve pertanto entrare nell’ottica che la manifestazione fogliare che si può osservare sulla pianta, può essere il risultato di un’associazione di malattie, anche molto diverse tra loro, come virosi, carenze nutrizionali, eutipiosi, esca, carie, fitoplasmosi, ecc..


Fattori predisponenti la malattia
Fatto salvo che devono essere presenti uno o più agenti fungini per manifestare i sintomi, sicuramente alcune pratiche agronomiche e condizioni ambientali possono influire sul dinamismo della malattia, quali:
carico produttivo molto elevato;

carenze idriche seguite a condizioni molto spinte di idratazione;

elevata vigoria vegetativa (la circonferenza media del ceppo è direttamente correlata all’incidenza della malattia, indipendentemente dall’età della vite);

forma di allevamento della vite (la pergola è meno suscettibile della parete verticale con potatura a Guyot);

sistema di potatura (maggiore è la frequenza dei tagli di ritorno, maggiore è la probabilità di infezione);

stress nutrizionali, che causano l’abbassamento delle difese immunitarie della pianta;

alterazione della comunità microbica del suolo; le viti stressate produrrebbero modificazioni sostanziali della comunità microbica e batterica in prossimità delle loro radici assorbenti;

condizioni climatiche (le piogge del mese di luglio, soprattutto se seguite da giornate molto calde, tendono a favorire l’insorgenza dei sintomi, a seguito della maggiore mobilità della linfa e delle micotossine che sono alla base della manifestazione dei sintomi stessi; in annate siccitose il blocco della pianta limita l’apparizione dei sintomi);

condizioni edafiche asfittiche (il ristagno idrico induce una sofferenza cronica nelle viti a causa dell’asfissia radicale e a causa della presenza di ioni ad effetto fitotossico come Fe e Mn. Tutto ciò causerebbe un abbassamento del livello immunitario e una maggiore propensione alla malattia);

danni da gelo o da grandine.


Metodi di lotta
Mai come nel caso del mal dell’esca si deve parlare di lotta preventiva, in quanto a tutt’oggi non esistono rimedi efficaci.
Poiché l’infezione, indipendentemente dalla tipologia di fungo, avviene sempre attraverso ferite, è fondamentale produrne il meno possibile e, almeno, dalle dimensioni contenute;

la potatura secca è inevitabile, come anche tutte le pratiche sul verde che hanno come obiettivo il contenimento della vegetazione; quindi il consiglio è quello di evitare i tagli troppo grandi e, al limite, spennellarli con una soluzione di idrossido di rame e vinavil, oppure olio di lino e sali di rame.
Secondo la teoria della compartimentazione di Shigo, però, anche questa pratica sarebbe inutile, in quanto la pianta, da sola, produrrebbe tutte le sostanza naturali sufficienti a bloccare il patogeno e ad isolarlo;

l’utilizzo di doppie forbici o la loro disinfezione con alcol o sali di rame ha perso in parte il suo fondamento scientifico, in quanto l’infezione avviene tramite le spore presenti nell’aria e non tanto nella porzione di fungo che passa da una vite all’altra con il taglio e la potatura;

una potatura invernale tardiva ha invece sicuramente più effetto, in quanto la vite, non appena entra in attività vegetativa, è in grado di produrre il callo cicatrizzale (molto più limitato rispetto ad altre piante) che contrasterebbe l’entrata dei diversi patogeni;

la capitozzatura e l’allevamento di un nuovo tralcio a partire dal legno sano è una tecnica tanto più efficace quanto più è anticipata, poiché nelle piante completamente invase dal fungo, questa pratica non riesce a sortire gli effetti sperati. Risulta fondamentale raggiungere il legno apparentemente sano, quindi tagliare il ceppo fino a quando non sono più manifeste carie o colorazioni anomale;

l’utilizzo di fosetyl alluminio (R 6 Bordeaux) sembra limitare l’insorgenza della malattia, per il semplice fatto che aumenta la resistenza naturale della pianta (fitoalessine) contro qualsiasi patogeno;

l’utilizzo del fungo Trichoderma harzianum, preposto a contrastare i patogeni della vite, al momento non ha prodotto gli effetti desiderati.

Conclusioni
Il complesso esca è ancora lontano dall’essere risolto, in quanto non sono ancora del tutto chiare le relazioni che esistono tra la presenza dei funghi e la sanità della pianta.
Per tale motivo, l’unico vero consiglio che è possibile fornire ai vigneron è quello di allevare la vite perseguendo il miglior equilibrio vegeto-produttivo-nutritivo possibile, evitando di considerare la pianta come un limone da spremere e assecondando le sue esigenze idrico-nutrizionali.



Per informazioni, contattare il Dott. Fabrizio Prosperi al n. 328/4427638
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