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Selvicoltura

ASPETTI STORICI E NORMATIVI SULLE FORESTE E SULLA SELVICOLTURA IN VALLE D’AOSTA

(1ª Parte - dalle origini alla seconda meta’ del XIX° sec.) In una regione montuosa e avara di terreni facili da coltivare come la nostra, nell’antichità il bosco è stato sovente e volontariamente abbattuto per far posto alle colture agrarie. In un secondo tempo, le prime lavorazioni industriali e di trasformazione dei derivati dell’albero hanno ulteriormente spogliato le foreste valdostane. Molteplici norme e regolamenti a difesa del taglio indiscriminato delle foreste sono stati promulgati fin dal 1200 d.C., ma la carenza di controlli ed il crescente fabbisogno di legname li ha sovente disattesi.

di Corrado Letey
(Direzione Foreste - Ufficio selvicoltura)
 

Per capire meglio l’evoluzione storica della selvicoltura nella nostra regione, è necessario fornire un quadro generale del rapporto che è intercorso tra l’uomo e la foresta nel tempo. Secondo Susmel, questo può essere sinteticamente distinto in quattro fasi:








Carta delle prime foreste di pèrotezione in Valle d'aosta

1) La prima fase comprende il lungo periodo del Quaternario, precedente le ultime glaciazioni.
In questo arco di tempo l’uomo si sarebbe comportato, rispetto alla natura, analogamente agli altri esseri viventi, basando la propria sopravvivenza sulla caccia e sulla raccolta di vegetali spontanei.

2) Nella seconda fase, che va dal 10.000 al 3.000 (2.000) a.C., si manifestano i primi interventi dell’uomo sulla foresta. Il crescente bisogno di spazio e di cibo favorì i primi disboscamenti e dissodamenti dei suoli naturali, che venivano abbandonati quando la fertilità diminuiva. Il danno, seppur limitato in estensione, fu localmente intenso. Questo periodo, conclusosi con i primi insediamenti umani, coincise con il mutamento del rapporto uomo - natura e quindi con il radicale cambiamento dell’ambiente originariamente intatto. Gli incendi, provocati quasi sempre volutamente, modificarono notevolmente l’equilibrio degli ecosistemi sia per l’ampiezza delle superfici incendiate che per l’eliminazione di specie più esigenti o delicate a favore di specie più rustiche e resistenti.

3) La terza fase è di collocamento cronologico più incerto. Lo sfruttamento della foresta, nonostante fossero già state impartite discipline dalla civiltà greca e romana, provocò una graduale distruzione del bosco finché, in epoca più recente, i governi emanarono norme per la sua conservazione e per limitarne il godimento. Ma anche le famose “regole cadorine”, riprese dalla Repubblica Veneta, e le norme emanate nel secolo XVIII° per i querceti in Francia seguivano schemi che non tenevano conto dei fattori ecologici, sebbene i Georgici avessero già rimarcato l’interdipendenza fra prosperità del territorio e conservazione del manto forestale.

4) Solo nell’ultima fase, cioè da poco più di un secolo, inizialmente per cause chiaramente produttive e, più recentemente, per i vantaggi indiretti che offre la foresta, la selvicoltura è uscita dalla cosiddetta “fase empirica”, per divenire una disciplina fondata “su basi scientifiche” (vedi articolo “La selvicoltura” apparso sul n.3/2008 dell’Informatore Agricolo).

 

ASPETTI STORICI E NORMATIVI LOCALI
Le attività che nel corso dei secoli hanno influenzato e condizionato la struttura, la composizione e la superficie delle nostre foreste, sono molteplici. Vista la loro lenta evoluzione, i boschi possono essere considerati solo in un contesto secolare.
Verso l’anno mille, cominciarono i primi grossi disboscamenti per far posto alle colture agrarie. Queste operazioni furono volute dai Benedettini che, in quel periodo e sotto il Regno di Borgogna, erano delegati dal Vescovo ad amministrare la Regione.
La prima documentazione che tratta di regolamentazione delle utilizzazioni boschive risale al 1228 ed è firmata dal Vescovo Bonifacio, il quale limitava l’utilizzo del bosco di Brenvey nel comune di Sarre al solo taglio delle piante necessarie per le attività costruttive dell’alpeggio di Frumière. Nel 1255 un altro editto, emanato dai Signori locali, si riferiva al comprensorio del comune di Issogne e vietava il taglio degli alberi e degli arbusti edificanti le sponde della Dora Baltea, al fine di evitare l’erosione delle stesse e proteggere le colture ed i villaggi dalle acque. Durante tutto il XIV° secolo, si assistette ad una sempre più crescente sensibilità verso la foresta e la sua straordinaria funzione di protezione contro la caduta di massi e valanghe. Nel 1333 i Signori di Quart e, in seguito, quelli di Etroubles, Morgex, Nus, Saint-Rhémy, e via via altri, emanarono apposite norme per vietare o per limitare l’utilizzo dei boschi aventi funzione protettiva. Nacquero così i “Bois de Ban” o “Bois bannis” o ancora le “Forêt de la Sauvegarde” e i Signori o le differenti comunità locali crearono la figura del guardaboschi (Forestarii), i quali avevano il compito di sorvegliare, ed eventualmente reprimere, chi avesse violato le norme di limitazione al taglio prescritte per questi boschi.
Solo nel XV° secolo, si fissarono normative più dettagliate per l’utilizzazione delle foreste. In questo periodo vennero individuate e delimitate foreste in cui era vietato il taglio di alberi ed altre nelle quali venivano regolamentati tagli e prelievi da parte degli aventi diritto.
Lo sfruttamento delle miniere di Cogne indusse nel 1528 il Vescovo Gazino a proibire il taglio di piante in determinati boschi, pena il pagamento di un’ammenda di 100 ducati d'oro.

Nel 1587 il Duca Carlo Emanuele I° promulgava il “Coutumier”, la più importante raccolta di norme fondata sul diritto consuetudinario in Valle d’Aosta. Le norme, seppur generali, riconoscevano quelle esercitate nel passato e fissavano i diritti d'uso al prelievo di legname dai boschi, a condizione che ogni soggetto ne avesse fatto uso “come un buon padre di famiglia”, imponendo per le utilizzazioni delle norme diverse a seconda della loro ubicazione (boschi di protezione o idonei al taglio). Ad esempio, in questo documento, e più precisamente nel titolo quindicesimo, si ritrovano indicazioni sul taglio ad una data altezza degli alberi (60 cm) nei boschi di protezione; in questi era anche vietato creare dei nuovi canaloni di esbosco.

Le attività agricole continuarono comunque ad espandersi ancora per molto tempo, a discapito del bosco; basti pensare che nel 1629, quando ci fu la grande peste, la popolazione valdostana era stimata in 110.000 abitanti (poco meno di adesso) e quasi tutti si dedicavano all’agricoltura e alla pastorizia.

Non solo lo sfruttamento agricolo esercitò una grande influenza sulle foreste, ma anche il pascolo nel bosco e la raccolta indiscriminata della lettiera per il bestiame e per uso umano (pagliericci) determinarono un ulteriore impoverimento e degrado del bosco. Ma fu l’industria mineraria, come già anticipato nella premessa che contribuì in maniera determinante allo spoglio delle nostre foreste. Fino alla fine del XVIII° secolo, ogni anno si utilizzarono gigantesche quantità di carbone di legna per fondere i minerali, seguendo la pratica bergamasca che comportava da 3 a 4 partite di carbone per una fusione (in pratica si dovevano utilizzare 20 tonnellate di legno per produrre una tonnellata di ferro!). Si stima che venissero tagliati e trasformati in carbone, nelle aree carbonili sparse in tutti i boschi della regione ed a tutte le quote, circa 80.000 m3 di legname all’anno per l’attività mineraria.

Fu soprattutto la Bassa Valle che pagò lo scotto di tagli massicci ed irrazionali, tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, dovuto ad un’espansione dell’attività minerario-metallurgica Piemontese nel Ducato di Aosta. Il consumo di carbone vegetale subì un deciso incremento quando l’imprenditore Bernardo Mutta, originario del bergamasco ma insediatosi con i suoi forni e le sue fucine in Valle d’Aosta, decise di importare il minerale da Traversella (Piemonte), ormai spogliata dei suoi boschi ma ricca di miniere, e di fonderlo utilizzando le ancora ricche foreste della Bassa Valle.

Anche la pratica della resinatura, oltre a quella della produzione di pece (catrame liquido) e corteccia (concerie), contribuì all’ulteriore degrado delle foreste. Una stima ufficiale valuta in circa 290 q.li la quantità di trementina esportata dalla Valle d’Aosta, senza contare quella adoperata per il consumo interno e quella prodotta di contrabbando.

Il Conseil des Commis denunciava nel 1722, nel 1724 e poi ancora nel 1929 l’intollerabile situazione dello sfruttamento dei boschi, constatando che “on ne laisse pas que de sortir des charbons du bois” e “ruine entièrement les forêts de haute futaie” denunciando inoltre “qu’on ne laisse pas que de coupper les bois et le charbonner pour vendre hors du Pays”. Inoltre, le esalazioni provocate dall’attività dei forni, in particolare dalla calcinazione del materiale di rame, provocavano danni rimarchevoli agli alberi da frutto, soprattutto castagni e vigneti, ed ai campi coltivati.

Questa situazione raggiunse un tale livello di esasperazione che, nel 1757, il Duca Carlo Emanuele III, nell’atto di promulgare l’editto sulla conservazione dei boschi e delle foreste, si esprimeva così: “Gli abusi che si sono tollerati nelle foreste del Ducato di Aosta, derivati da tagli irrazionali di ogni specie e grandezza, dallo spoglio continuo degli alberi di alto fusto che sono soggetti alla scortecciatura in piedi o ad incisioni praticate per estrarre la pece e la trementina ...hanno raggiunto una tale gravità che la maggior parte delle foreste è distrutta, che la Provincia è carente di boschi e che questi diminuiranno sempre di più”.

Queste misure erano tuttavia poco rispettate per la mancanza di controlli e in particolare per la carenza di risorse locali che obbligava gli abitanti a sfruttare intensamente i boschi.

Bisogna altresì ricordare che, all’epoca, non era raro trovare delle abitazioni occupate tutto l’anno a 2.000 m d’altitudine; fu questo fattore a contribuire notevolmente all’abbassamento del limite del bosco, in quanto il legname serviva incessantemente per il riscaldamento, le costruzioni, gli utensili agricoli e la cucina.

É di notevole interesse ed attualità per l’epoca (anno 1782) l’indagine effettuata dall’Intendente dell’amministrazione regia Vignet des Étoles in tutti i comuni del Ducato per conoscere l’esatta situazione dei boschi, l’uso che ne veniva fatto ed i problemi di questo settore. Dalle risposte ottenute egli traeva la nota “Relation sur les forêts et l’industrie metallurgique de la Vallée d’Aoste”, nella quale rimarca la preoccupante situazione dei boschi, che non interessa solo la Bassa Valle ma tutta la Regione (da un inventario del 1795 risulta che i boschi ricoprivano all’epoca una superficie totale di 58.160 ettari).

Da queste considerazioni e dalla successiva pubblicazione delle Regie Costituzioni, il cui titolo “Dé boschi e selve” delineava un ordinamento fortemente accentrato e restrittivo, nel 1783 il Ducato di Aosta elaborava il “Règlement pour l’administration des communauté du Duché d’Aoste”, dove al titolo XII° si disponeva che fossero i consigli comunali, sotto la direzione dell’Intendente, a gestire il patrimonio forestale, ad assumere il personale di sorveglianza e ad allertare la popolazione in caso d’incendio boschivo.

Anche le relazioni fornite nel 1803 dall’Ispettore delle Foreste Marcotte, durante l’Impero napoleonico, constatavano che “les délits se multiplient chaque jour dans les bois” e, nel 1807, il sottoprefetto Martinet dichiarava “l’administration forestière n’est pas ancore organisée”.

Nei primi decenni del 1800, in parecchie aree della Media e Alta Valle, pare che i boschi fossero nuovamente in grado di fornire il combustibile necessario per l’industria minerario-metallurgica, mentre la situazione della Bassa Valle era meno rosea.

Si fece inoltre impellente l’ampliamento e l’attribuzione di più ampie funzioni e responsabilità alle guardie forestali. Nel 1821, il luogotenente generale Thaon di Revel, promulgava il “Règlement provisoire pour le service relatif à la conservation des bois dans le Duché d’Aoste”, nel quale si istituiva un vero e proprio corpo forestale strutturato gerarchicamente e non più dipendente dalle amministrazioni locali.

L’anno dopo l’amministrazione sabauda post-napoleonica approvava, per mano di Carlo Felice, un “Regolamento dé boschi e selve”, normativa assai rigida che rispecchiava talune norme dell’editto del 1757. “Questa legge -scrive il Giordano nella sua opera “L’industria del ferro in Italia”- ebbe effetti utilissimi alla conservazione e riproduzione dei boschi, ma la gravezza degli obblighi imposti sovratutto ai privati parve troppo incomoda restrizione al diritto di proprietà”.

Il 1° dicembre 1833 veniva perciò emanato un nuovo regolamento, in cui si affermava che i boschi privati sarebbero stati liberati dai vincoli, fatte salve le norme richieste dalla “generale utilità”. Con questo provvedimento prendeva perciò l’avvio una nuova drammatica fase di disboscamento in Valle d’Aosta (tra il 1830 e il 1839, cadevano al taglio all’incirca 1.867.000 piante!).

Il Corpo forestale, insufficiente e senza collaborazione, “mai poté influire efficacemente sull’economia dei boschi”. Così, da un lato i boschi privati “sparivano per i tagli inconsiderati e i mille abusi” e, dall’altra quelli pubblici e/o vincolati, nei quali “il rigorismo” era spinto all’estremo, “intisichiavano per soverchia foltezza”.

I risultati del disastro si commentano da soli: nel 1830 i boschi occupavano una superficie di 60.000 ettari, nel 1850 erano ridotti a 40.000 e, nel 1864, a 25.000.

Le foreste che non venivano annientate, furono comunque impoverite e spogliate. Fu per questo motivo che alcune essenze scomparvero o si ridussero notevolmente di numero occupando solo qualche isolata zona, come il pino cembro in alta montagna, l’abete bianco ed il faggio nelle loro stazioni e la rovere in bassa valle. Queste specie dovettero cedere il posto a specie pioniere quali il larice, il pino silvestre o il pino uncinato e la natura dovette riprendere faticosamente la sua primitiva evoluzione.


Nota:
nel prossimo numero dell’Informatore Agricolo, verrà pubblicata la 2ª parte dell’articolo, che prende in considerazione gli aspetti storici della selvicoltura, dalla seconda metà dell’Ottocento ai giorni nostri.

Bibliografia:

  • Autori vari “Uomini e boschi in Valle d'Aosta”, 1997 Regione Autonoma Valle d'Aosta - Tipografia Valdostana (Aosta)
  • Abbé Henry “Histoire de la Vallée d'Aoste”, 1967 Imprimerie Marguerettaz (Aoste)
  • J.B. De Tillier “Historique de la Vallée d'Aoste”, 1994 Imprimerie ITLA (Aoste)
  • Roberto Nicco e altri “L'industrializzazione in Valle d'Aosta”, 1988 Quaderni dell'Istituto Storico della Resistenza in Valle d'Aosta - Industrie Grafiche Editoriali Musumeci (Quart)
  • Alessandro Crosetti “Codice delle Leggi Forestali - Norme statali” 1983, Dott. A. Giuffré Editore (Milano)
  • Mario Cappelli “Selvicoltura generale” 1982, Edagricole (Bologna)
  • Bernard Janin “Le Val d'Aoste -Tradition et renouveau” 1980, Musumeci Editeur (Aoste)
  • Maglia S., Santoloci M. “Il Codice dell’ambiente” 1991, Editrice La Tribuna (Piacenza)
  • Bernard Janin “Aménagement du territoire en Vallée d’Aoste” 2001, R.A.V.A-Musumeci Editeur (Quart)
  • A.V.Cerutti “Le Pays de la Doire et son Peuple” 1995, Musumeci Editeur (Quart)
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