BIODIVERSITÀ
La scomparsa o la riduzione di molte colture e la prevalenza dell'allevamento hanno determinato una semplificazione del paesaggio e un impoverimento di specie coltivate.
AGRICOLTURA E DIVERSITÀ BIOLOGICA
di Emanuele Dupont
Il versante settentrionale della Grivola.Per chi scende dal colle dell'Entrelor verso il Savara, o per chi arriva dal Piemonte sul sentiero reale del Nivolet, dopo aver superato la Menteaux, una sosta ai laghi di Djouan è obbligatoria.
In quel punto, infatti, si incrociano i sentieri che stemperano la loro pendenza in un inatteso pianoro a 2500 m, gli specchi d'acqua sono magnifici, i pascoli sono invitanti e si è al cospetto dell' "ardua Grivola bella" e del gruppo del Velan.
Se invece di continuare sul sentiero che scende a Orvieille seguite il percorso del torrente Nampio, dopo un po' troverete una semplice opera di derivazione che alimenta il ru chiamato Meriou. Non ci va molto a capire che il ru è abbandonato da molto tempo, ma ancora si rimane, come per tutti i nostri ru, prima sorpresi e poi affascinati dal coraggio generale dell'opera e dalle microsoluzioni tecniche adottate, metro dopo metro, per adeguarsi alla morfologia del terreno, conservando quota e sezione di portata.
Dopo circa un chilometro, anzi circa 1000 metri per rispetto ai costruttori, si arriva all'alpe Ploriond, anch'essa abbandonata.
Viene spontanea la domanda: tutto questo sforzo per portare un po' d'acqua a forse dieci ettari di pascolo?
A parte il fatto che l'acqua serve anche agli uomini e al bestiame ci si dimentica che patate e cereali venivano coltivati fino quasi a quelle quote.
Infatti, procedendo a valle si incontrano, appena sotto i 2000 m, i muri dei terrazzi e si intuisce ancora il percorso dei ruscelli alimentati dal Meriou.
Una volta una turista mi chiese perché erano stati costruiti tanti muri dentro al bosco!
Il bosco ha inghiottito una parte considerevole di quelle strutture a terrazzi, simbolo dell'agricoltura di sussistenza, semplificando in modo drastico il paesaggio e sostituendo le colture, non più adottate, con le essenze arboree del luogo.
Combinando la disponibilità di acqua con la creazione di superfici coltivabili, quasi orizzontali, la nostra montagna ha potuto ospitare specie vegetali provenienti anche da luoghi lontanissimi del globo, e ha permesso a comunità anche numerose di svilupparsi e affermarsi con connotazioni molto forti e particolari.
Il nuovo paesaggio della monocultura foraggera.Segale, fave, grano, canapa… è scomparso tutto; restano oggi solo poche tracce della coltivazione principale, e più amata dagli uhaens: la patata.
Sembra, anzi, che la patata sia entrata per la prima volta in Valle proprio grazie a un personaggio del luogo, rientrato dalla Francia; più di 250 anni dopo l'importazione del tubero dall'impero di Montezuma nelle stive della Niña, questo sarebbe arrivato a Mésoncle nella Valsavarenche per poi diffondersi da lì a tutta la Valle d'Aosta.
Probabilmente tutto quanto sinora raccontato e detto fa parte delle conoscenze e delle riflessioni della maggior parte delle persone, anzi probabilmente sono cose anche abbastanza trite e scontate. Me ne scuso con il lettore.
Mi serviva però per far riflettere sul fatto che l'attività dell'uomo, agricoltore nel nostro caso, è stata non solo predominante nel modellare il paesaggio, ma anche nel determinare la presenza di coltivazioni, specie, cultivar, altrimenti assenti.
L'agricoltura determina un aumento della biodiversità nella misura in cui incide sul territorio e nella misura in cui questa serve ai propri scopi: oggi assistiamo a una semplificazione e del primo aspetto, il paesaggio, e del secondo, le specie coltivate.
Semplificando la nostra analisi possiamo affermare che, almeno per la fascia altitudinale alla quale siamo per ora arrivati, l'agricoltura si riduce oggi a pascolo e prato-pascolo per l'allevamento bovino e perlopiù nelle zone non troppo difficili; il resto dello spazio antropizzato dall'agricoltura di un tempo o è abbandonato o è riconquistato dal bosco.
Non vi è nessuna valutazione negativa in tutto questo: è una semplice descrizione della situazione attuale.
Per chi volesse, invece, mettere in discussione tale evoluzione, rimpiangendo le strutture e l'impegno di un tempo, basti questa semplice considerazione: i risultati produttivi ottenuti da centinaia di persone con grande sforzo e impegno, sono oggi ottenute da poche persone a bordo di potenti mezzi meccanici su coltivazioni che sono in grado di esprimere rese centinaia di volte superiori a quelle. La combinazione di meccanica, chimica e genetica, applicata in territori favorevoli ha, infatti, prodotto negli anni sessanta la rivoluzione verde che ha prima messo ai margini e poi annullato l'agricoltura tradizionale.
La mela, un prodotto da conservare per il mantenimento della tradizionale diversificazione delle colture del paesaggio.La zona sottostante il villaggio di Tignet, ben esposta a sud ma tutt'altro che pianeggiante era considerata il granaio della Valsavarenche: la produzione che si riusciva a ottenere su quei due ettari scarsi, con quotidiana fatica e pazienza, oggi si ottiene in meno di 1000 metri quadri con mezz'ora di lavoro; ben inteso in altre condizioni!
Il problema non è quello di come tornare indietro, ma di come andare avanti utilizzando al meglio le risorse disponibili.
Scendendo ancora nella valle che stiamo percorrendo, dopo la strettoia di Molère, comincia ad aprirsi il panorama dell'adret tra Saint-Nicolas e Sarre.
Pochi sanno, oltre agli agricoltori naturalmente, che i prati e i frutteti di Saint Pierre sono oggi (dal 1922) irrigati grazie al grande sifone del ru de Saint-Pierre che, prelevata l'acqua del Savara appena sotto Molère, la restituisce, dall'altra parte della valle al livello che è facile intuire dallo sviluppo della vegetazione e delle coltivazioni..
Ancora una storia d'acqua: prologo obbligatorio a una coltivazione, quella della mela, che ha fatto la fortuna di molti agricoltori nella conca della valle centrale tra Saint-Marcel e Villeneuve; clima estivo secco e ventilato, quindi sfavorevole a molte malattie del melo, ma acqua a disposizione quando serve, proveniente dal versante sud della Grivola che sovrasta, con la parete nord e dal versante opposto, i frutteti che conferiscono le coloratissime mele alla Cofruit.
Anche nel caso di questa coltura assistiamo ad una rinuncia ed ad una semplificazione. Purtroppo, la frutticoltura valdostana ha imboccato da qualche anno una crisi che determina due fenomeni: la riduzione della produzione e l'abbandono delle coltivazioni esistenti. Non è la stessa cosa: chi toglie gli alberi e coltiva il prato, chi semplicemente abbandona gli alberi al loro destino. Possiamo descrivere tre situazioni: i vecchi impianti ancora produttivi (haute-tige, prati arborati), i nuovi frutteti allevati secondo le tecniche attuali, gli alberi sparsi e abbandonati.
Detto che questi ultimi stanno proprio male da qualsiasi punto di vista, soprattutto dal punto di vista ambientale (sembra però che i proprietari non se ne rendano conto), resta da vedere come si possono combinare gli altri due punti.
I frutteti intensivi sicuramente rispondono agli attuali canoni di produttività e di qualità; c'è però da chiedersi se anche il sistema di coltura tradizionale, basato sugli alberi a grande sviluppo coltivati sui prati a foraggio (con effetti paesaggistici spesso molto interessanti) non possano avere ancora un futuro, magari solo in zone limitate e allevando cultivar autoctone.
Il livello altitudinale della mela si interseca con quello della vite.
Questa sta vivendo, al contrario del lento declino della frutticoltura, un momento di intrigante vitalità: dinamica di mercato, proposte degli imprenditori privati, riscoperta dei vitigni autoctoni, entusiasmo da parte degli operatori turistici più dinamici.
Certo, gli attuali 500 ettari non sono paragonabili ai quasi 3500 del secolo scorso, e anche in questo caso gli abbandoni e la riconquista da parte del bosco o, a volte, la riconversione a prato sono ancora leggibili, ma la ripresa si vede sia a livello di disegno del paesaggio che per quanto riguarda la differenziazione delle colture.
In modo ancora più evidente nella media montagna il percorso di semplificazione risulta evidente a favore dei prati e, in misura variabile, a seconda delle zone e delle altitudini, del bosco o della friche.
Restando nel nostro ambito agricolo in senso lato - in altri interventi su questa rivista si discute in modo più scientifico e specifico del significato della biodiversità e dei mezzi e metodi per descriverla e misurarla - possiamo quindi dire che l'imponente intervento dell'uomo sull'ambiente per il tramite dell'irrigazione - che continua da circa 500 anni adeguandosi continuamente alle nuove tecnologie - ha effetti determinanti sulla diversità biologica.
L'attuale semplificazione del paesaggio agricolo dovuto alla prevalenza del binomio allevamento-foraggio deve esser superato differenziando le colture, riscoprendo vecchie cultivar, trovando nicchie di produzione e di mercato, reintroducendo alcune coltivazioni o tecniche colturali che possano essere apprezzate e valorizzate dal mercato.
Il progetto integrato di valorizzazione del patrimonio culturale, artigianale e turistico (prodotti tradizionali), la produzione agricola condotta con il metodo biologico, il nuovo disciplinare dei vini a DOC "Vallée d'Aoste", la DOP per le mele, l'agriturismo... tutto sembra convergere su una maggiore differenziazione delle produzioni: non è recherche du temps perdu, ma coerente risposta alle richieste del mercato che ha come assi cartesiani l'offerta enogastronomica e la fruibilità del paesaggio.
   
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