IL SUOLO
Tra le tecnologie della depurazione destano interesse le pedo-tecnologie, cioè sistemi basati sullo sfruttamento delle capacità depurative del suolo o di parti di esso.
LE PEDO-TECNOLOGIE
di Roberta Gorra
Con il rapido aumento della popolazione è cresciuta la preoccupazione per le contaminazioni ambientali. Tra esse destano particolare allarme quelle provocate dagli scarichi di origine agricola, industriale e civile per la possibilità che essi inquinino le acque superficiali o il suolo. Dove la popolazione è uniformemente distribuita sul territorio, la produzione di reflui risulta meno critica perché l'ambiente circostante può svolgere un ruolo di filtro, provvedendo all'autodepurazione. Dove invece la popolazione è geograficamente concentrata - e con essa le attività produttive - l'ambiente non è più in grado di smaltire efficacemente gli inquinanti e divengono necessari interventi specifici per evitarne l'accumulo.
I trattamenti tradizionali messi in atto per questo scopo sono in genere tecnologicamente complessi e pertanto comportano un notevole dispendio di risorse economiche ed energetiche. Negli ultimi anni, l'accresciuta sensibilità ecologica ha indotto a prendere in considerazione trattamenti innovativi a moderato impatto ambientale, atti a smaltire i residui dell'attività antropica mediante lo sfruttamento e l'ottimizzazione di processi naturali. Nell'ambito di tali biotecnologie della depurazione, assumono importanza le pedo-tecnologie, cioè sistemi basati sullo sfruttamento e/o miglioramento delle capacità depurative del suolo o di parti di esso.

Aree umide naturali
Le aree umide (wetlands) si manifestano dove esistono infossamenti del terreno caratterizzati da suoli impermeabili o poco permeabili, dove l'acqua delle piogge tende a raccogliersi, ristagnando in permanenza o comunque per cospicue porzioni dell'anno. Queste particolari condizioni determinano l'esclusione delle essenze vegetali incapaci di crescere in suoli saturi d'acqua e portano alla creazione di un ecosistema tipico delle zone umide, sede di molteplici processi biologici che derivano dai rapporti complessi tra gli esseri viventi presenti, soprattutto tra piante idrofile e comunità microbiche, che svolgono entrambi un'intensa azione di rimozione delle sostanze organiche e inorganiche presenti nell'acqua.
Negli ultimi 20 anni, l'attenzione per le problematiche ambientali ha portato a riconoscere i benefici delle wetlands naturali che, essendo tra gli ecosistemi meno perturbati dall'uomo e dallo sviluppo industriale, sono divenute zone di conservazione e tutela di flora e fauna. Oltre a ciò, la grande attività biologica propria di questo ecosistema ne consente l'utilizzo per il trattamento dei reflui di diversa origine, convertiti, grazie al riciclaggio nelle catene biologiche, in biomassa microbica, suolo e gas atmosferici o elementi essenziali utilizzati dalle piante per alimentare la produzione di nuova vegetazione.
Da queste trasformazioni, che utilizzano l'energia naturale dell'ecosistema, si ottengono perciò notevoli benefici ambientali a basso costo energetico e senza alcun apporto di tipo chimico, a differenza dei trattamenti tradizionali. Le zone umide possono dunque risultare decisive nel miglioramento della qualità delle acque agendo come trappola per i sedimenti e gli inquinanti e rimuovendo le sostanze ad essi associate.

Aree umide artificiali, meccanismi di depurazione
Una delle tecniche più promettenti per il trattamento delle acque è quella che sfrutta le cosiddette aree umide artificiali (constructed wetlands). Si tratta di impianti razionalmente progettati e costruiti al fine di ottimizzare le caratteristiche depurative dei sistemi naturali, impiegati come tecnologia a basso costo per la depurazione di acque inquinate. Questa tecnica di trattamento prevede la realizzazione di vasche impermeabilizzate, al cui interno si pongono materiali di riempimento costituiti da inerti di diversa pezzatura (ghiaia, sabbia) a costituire il substrato di crescita di specie vegetali tipiche di ambienti umidi (Phragmites australis).
L'azione depurativa complessiva risulta dalla interazione di meccanismi sia chimico-fisici che biologici. I primi sono essenzialmente processi di sedimentazione, filtrazione, precipitazione chimica e adsorbimento. L'entità del loro contributo alla depurazione dipende in larga misura dalle caratteristiche chimico-fisiche del substrato impiegato. I secondi consistono nell'attività metabolica, svolta sui reflui dalle piante acquatiche e dalle popolazioni microbiche associate ad esse o al substrato.
Come già detto, le wetlands naturali sono popolate da specie vegetali adattate allo sviluppo in acqua o in suolo saturato, e possono essere dotate di radici o galleggiare sull'acqua.. Nelle constructed wetlands vengono impiegate prevalentemente piante (macrofite) acquatiche radicanti, adatte a colonizzare substrati sommersi da un moderato strato d'acqua. Come tutte le specie acquatiche, esse presentano adattamenti specifici ad ambienti di questo tipo, sono capaci di trattenere elevate quantità di ossigeno nei loro tessuti (fino al 70% del volume del vegetale) e possono diffondere fino alle radici sostanze gassose. In questo modo le piante acquatiche (idrofite vascolari radicanti) provvedono a trasferire l'ossigeno dall'atmosfera esterna all'area circostante alle radici (rizosfera). Il rifornimento di ossigeno del substrato sommerso avviene mediante due meccanismi: innanzitutto l'estensione continua delle radici aumenta la porosità del suolo e quindi la circolazione del gas, in secondo luogo l'ossigeno viene trasportato dalle parti aeree alle radici. A livello della rizosfera, perciò, si creano delle microzone, alcune con ossigeno (siti aerobici), altre senza (siti anaerobici) che permettono lo sviluppo di comunità microbiche che mineralizzano la sostanza organica.
Numerose ricerche sono state condotte al fine di quantificare gli effetti delle piante acquatiche sui processi di depurazione che avvengono nelle wetlands. Una funzione importante riguarda gli effetti sulle condizioni fisico-meccaniche del sistema. Le macrofite stabilizzano il suolo ed i substrati, creano condizioni ottimali per la filtrazione dell'acqua nel sistema evitando fenomeni di intasamento, isolano la superficie proteggendola dai rigori dell'inverno. Oltre a ciò, le loro radici forniscono un ambiente favorevole allo sviluppo dei microrganismi, sia per quanto riguarda le condizioni di ossigenazione come precedentemente ricordato, sia con l'emissione di essudati radicali, sia perché trattengono i nutrienti contenuti nei reflui, impedendone la lisciviazione e rendendoli disponibili ai batteri che li degraderanno nella stagione vegetativa. Inoltre, l'assimilazione di nutrienti da parte delle piante riveste fondamentale importanza ai fini della depurazione. Una idrofita tipica degli ecosistemi delle aree umide è la Phragmites australis, graminacea perenne nativa del Nord-America, infestante degli ambienti acquatici e comunemente conosciuta da noi come cannuccia di palude. Essa viene impiegata frequentemente nelle constructed wetlands, per le sue doti di rusticità e resistenza ad elevate concentrazioni di sali e sostanza organica nei reflui.
Come si è detto, l'attività microbica che presiede all'azione depurativa nelle constructed wetlands (e anche nelle wetlands naturali) dipende prevalentemente dalla presenza concomitante di siti aerobici ed anaerobici a livello delle radici. Da un punto di vista generale, i siti aerobici permettono l'attività di batteri, che utilizzano l'ossigeno, mentre nei siti anaerobici prevalgono batteri che utilizzano sostanze diverse dall'ossigeno. In entrambi i siti possono poi agire microrganismi a metabolismo fermentativo.
Sia in aerobiosi che in anaerobiosi, l'azoto organico presente nei reflui è trasformato in ione ammonio (ammonizzazione) attraverso una serie di reazioni biochimiche complesse, svolte da una microflora eterogenea. Lo ione ammonio così formato è successivamente ossidato a nitrato in presenza di ossigeno (nitrificazione), oppure viene assimilato dalle piante. La nitrificazione si realizza anche a concentrazioni molto basse di ossigeno disciolto (intorno a 0,3 mg/L) e quindi può avvenire senza difficoltà nei micrositi ossigenati della rizosfera acquatica. Queste reazioni rivestono un ruolo decisivo nel bilancio del processo depurativo delle constructed wetlands, poiché portano all'ossidazione totale dell'azoto organico.

Adattamento delle constructed wetlands all'ambiente alpino
Il liquame, scorrendo attraverso il materiale di riempimento, è soggetto all'azione congiunta della fasi minerale e biologica del sistema, che ne riducono il carico inquinante. Gli impianti
wetland /I> tradizionali richiedono estese superfici per la loro realizzazione (10 m2/PE) e la loro resa depurativa può essere condizionata dall'andamento stagionale, con una riduzione durante il periodo invernale. In ambiente alpino, l'esigua superficie disponibile e le particolari condizioni climatiche hanno imposto la scelta di nuove soluzioni tecnologiche per incrementare la resa depurativa. Negli ultimi anni sono stati compiuti molti progressi relativamente ai criteri di progettazione di queste strutture, ed alla conoscenza del ruolo che i singoli fattori (parametri costruttivi, substrati, essenze vegetali, attività microbica) svolgono nel bilancio dell'intero processo depurativo. Combinando tali fattori in modo opportuno, è possibile ottenere sistemi applicabili a diverse realtà paesaggistiche e climatiche, per il trattamento di reflui anche molto diversi. Attraverso l'impiego di scambiatori ionici (es. zeolitite) e fasi minerali adsorbenti (es. residui dell'attività mineraria) atti a integrare l'azione dei processi biologici, viene notevolmente incrementata l'efficienza nella rimozione degli inquinanti, riducendo la necessità di spazio presente nella versione tradizionale. Questa razionalizzazione permette di adattare il sistema al trattamento di acque reflue anche in ambienti di montagna con scarsità di aree pianeggianti come la Valle d'Aosta.
L'utilizzo dei materiali ad alto rendimento è stato successivamente integrato con lo studio della possibilità di impiego di materiali poveri e di facile reperibilità (frammenti di roccia, ghiaia, inerti prelevati in discarica, scarti di miniera o di cava, manufatti di terracotta rotti o difettati, reflui edilizi, ecc…), attribuendo un plusvalore economico ed ambientale a materiali il cui smaltimento rappresenta un costo per il privato o per la comunità. Infatti, molti materiali considerati di scarto, che normalmente vanno a finire in discarica, possiedono caratteristiche ideali (porosità, capacità scambiante, reazione, habitat per i microrganismi e per le piante) per l'utilizzo in un'area umida artificiale.
Lo sfruttamento selettivo e sequenziale delle caratteristiche chimiche dei diversi materiali di riempimento determina un'elevata efficienza di questo tipo di impianti. Gli impianti di bio-pedo-trattamento si differenziano da altri tipi di sistemi di fitodepurazione, che costituiscono essenzialmente una fase di affinamento del processo di depurazione, dato che questi impianti sono posti a valle di un depuratore e che quindi ricevono dei reflui con un basso carico inquinante.
Questi materiali, oltre alle loro caratteristiche chimico-fisiche-mineralogiche, grazie alla loro taglia (i materiali sono ridotti fino a dimensioni intorno a 10 mm) creano difficilmente problemi di intasamento degli impianti e sono perfettamente in grado di fare da supporto alla vegetazione e ad una attiva comunità microbica.
In futuro è prevedibile l'utilizzo di questo tipo di impianti in aree urbane, dove potrebbero costituire un'alternativa a basso costo e a basso impatto ambientale rispetto ai tradizionali sistemi di depurazione. Se ne potrebbe ipotizzare un uso a livello condominiale o di quartiere con l'impianto di bio-pedo-depurazione nascosto da un giardino (che non avrà la necessità di essere irrigato), oppure in situazioni abitative isolate, dove non è possibile o troppo oneroso il collegamento alla rete fognaria.
   
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