IL SUOLO
La flora influisce in modo determinante sui processi di formazione del suolo sia dal punto di vista fisico sia da quello chimico.
SUOLO E VEGETAZIONE
di Angelo Caimi
I suoli e il mondo vegetale sono, nel loro complesso, un sistema vario e mutevole i cui processi, da semplici a infinitamente complessi, si sviluppano da centinaia di milioni di anni.
Sistema è un termine greco (sustema) e la sua valenza semantica, ampliata in senso epistemologico a partire dall'Illuminismo, si conserva pressoché immutata da oltre due millenni: un insieme di elementi coerenti tra loro, tra loro cogenti, che esistono proprio ed esclusivamente perché interdipendenti.
Ciò che noi generalmente intendiamo per suolo e vegetazione rappresentano un esempio perfetto di sistema: l'uno non può esistere se l'altro non esiste e, esistendo parti e relazioni, il tutto è più che la somma delle parti.
In questo contesto guarderemo, per necessità espositiva, il sistema di volta in volta dalla parte del suolo o dalla parte del mondo vegetale ma, di fatto, dividere le due cose è solo un procedere per astrazione.
Confondere l'astrazione con la realtà e trasportare questo equivoco nel mondo concreto, decidere cioè di agire e operare su una parte dimenticandosi del tutto, porta a risultati drammatici.
Parleremo anche di questo; perché oggi succede.

Nascita e sviluppo del sistema
Qualunque testo di pedologia, seguendo un concetto classico, sviluppato per primo da Dokuchaev verso la fine dell'Ottocento e, un cinquantennio dopo, espresso in forma quantitativa da Jenny, vi spiegherà che il suolo è il risultato dell'azione combinata di cinque fattori fondamentali: clima, topografia, roccia madre, tempo ed entità biotiche.
Ora, immaginiamo di fare un salto indietro nel tempo, diciamo indicativamente tra la fine dell'Ordoviciano e l'inizio del Siluriano, circa 440 milioni di anni. Scopriremmo che tutte le terre emerse sono assolutamente prive di qualsivoglia forma di vita e pertanto, fatto quel salto, uno dei fattori di formazione del suolo si è azzerato, non c'è, semplicemente.
Gli altri fattori, in realtà, si erano messi in moto da tempi immemorabili e, su una crosta terrestre molto attiva e sconvolta da forze endogene imponenti, l'alterazione meteorica delle rocce madri in qualche modo, a stento, procedeva. I processi di alterazione fisici e chimici, infatti, potevano ben avvenire in assenza di vita: sbalzi di temperatura, cicli di gelo e disgelo, fenomeni di abrasione da parte di particelle trasportate dall'acqua o dal vento, azione della forza di gravità, idrolisi dei silicati e soluzione di altri minerali delle rocce come carbonati o solfati. Tutti questi processi avvenivano in modo estremamente lento e poi, in definitiva, quella sottile pellicola che ricopre le terre era solo un mantello di alterazione, non era ancora quel corpo potente e pulsante di vita che noi, oggi, chiamiamo suolo.
Quattrocentoquaranta milioni di anni fa tutte le forme vegetali e animali erano ancora legate all'acqua; un mondo enorme ed estremamente ricco di specie abitava i mari e gli oceani ed era anche lì, a pochi metri dalla riva, ma quel piccolo spazio in realtà è un abisso, è come passare da un pianeta all'altro, si cambia gravità, ambiente, mutano drasticamente le regole fondamentali del nutrirsi e del riprodursi, bisogna proteggersi contro la disidratazione e bisogna dotarsi di una struttura portante per sostenersi.
Nonostante tutto, a cominciare da quel periodo il mondo vegetale iniziò il grande sbarco, lentamente, molto lentamente, ma ormai il gioco era cominciato.
La testa di ponte, probabilmente, la gettò non un singolo organismo ma un'associazione simbiotica di organismi (paragonabile ai licheni): un'alga verde multicellulare relativamente complessa ed endomicorrizata che, in qualche modo, riuscì a resistere fuori dall'acqua nei momenti di bassa marea. Poi vennero le briofite, comuni ancor oggi nelle zone umide, che ancora non possedevano fasci vascolari specializzati e assorbivano l'acqua direttamente attraverso le foglie e i fusti, anche se alcune di loro avevano cordoni di idroidi (cellule specializzate nella conduzione dell'acqua) e altre, per difendersi dalla disidratazione, avevano già provveduto a dotarsi di una cuticola (caratteristiche che ancora rimangono in questa divisione del mondo vegetale). Un altro salto e siamo nel Devoniano (408-360 milioni di anni fa); compaiono le piante vascolari e presto cominciano a diversificarsi e a diventare numerose; ormai, con la spinta evolutiva, si originano nuove differenze morfologiche e fisiologiche: radici, fusti, foglie e organi riproduttori ben protetti dall'ambiente esterno.
Nel Carbonifero (da 360 a 286 milioni di anni fa) ci fu una vera esplosione del mondo vegetale. Su una terra pianeggiante, ricoperta da mari poco profondi o da acquitrini, con un clima generalmente umido e caldo, nacquero e si diffusero a macchia d'olio i primi giganti, Lycophyta, equiseti e felci di dimensioni titaniche se paragonate ai loro discendenti erbacei tuttora viventi. Seguì il Permiano, un periodo più freddo e più secco, e la flora di nuovo cambiò; con il cambiamento avvenne una delle innovazioni più spettacolari nel corso dell'evoluzione delle piante vascolari: il seme, una struttura con valore di sopravvivenza. Le gimnosperme, le prime piante a seme, alcune estinte (Bennettitales, Lyginopteridales, Pentoxylales, Glossopteridales, Caytoniales), alcune viventi (Cycadales, Ginkgoales, Taxales, Pinales e Gnetales) coprirono la terra per duecento milioni di anni, un dominio totale e quasi senza rivali finché, di colpo, forse con il favore dallo stesso evento traumatico che causò l'estinzione dei dinosauri, si aprirono vaste nicchie ecologiche e apparve il risultato finale e il massimo grado di evoluzione degli organismi vegetali, relegato da milioni di anni al ruolo di comparsa: le angiosperme, le piante a fiore, un nuovo mondo, che oggi enumera oltre 250.000 specie, variegato di forme, di dimensioni (andiamo da alberi che superano i 100 m d'altezza a piante che non superano il mm di lunghezza in alcune monocotiledoni acquatiche) e di colori.
Da quei giorni lontani possiamo finalmente parlare di suolo: quello che era solo un mantello di alterazione cominciò a ricevere nuovi input energetici, nuove azioni fisiche si misero in moto, le reazioni chimiche si fecero più veloci e nacque il sistema che oggi conosciamo.

Dalla parte del suolo
Il momento dello sbarco (in realtà ce ne furono due perché, qualche decina di milioni d'anni dopo, anche il mondo animale invase le terre emerse) coincide quindi con il momento di passaggio da un orizzonte di alterazione ad un suolo, il momento in cui un substrato litologico comincia ad essere abitato da organismi e dai loro prodotti; finalmente si è trovato il carburante giusto, ai processi di alterazione seguono dei veri processi di formazione. La presenza di materia organica arricchisce enormemente le variabili in gioco: a morfologia, clima e roccia madre si aggiunge un'enorme casistica variegata di forme più o meno organizzate di molecole organiche, i flussi si complicano e, soprattutto, si fanno innumerevoli.
Cominciamo dunque a vedere dove sta la differenza tra il prima e il dopo; forse il modo più semplice è procedere per esclusione: parliamo quindi di quei processi che prima non potevano avvenire e che possono svolgersi esclusivamente se poniamo come piattaforma logica il concetto di sistema che abbiamo definito sin dall'inizio.
La flora influisce in modo determinante sui processi di formazione del suolo sia dal punto di vista fisico che chimico.
Dal punto di vista fisico si assiste ad un incremento quantitativo dei processi in quanto, oltre a quelli visti in precedenza, la vegetazione :
· disgrega il materiale parentale, attraverso l'azione meccanica delle radici, approfondendo il suolo e stabilizzandone la struttura;
· modifica lo stato termico del suolo e il suo bilancio idrico eliminandone i valori estremi;
· protegge il suolo contro l'erosione eolica rappresentando un ostacolo per il vento che, intercettato, viene modificato in forza, direzione e velocità (in un popolamento fitto la riduzione può superare l'80%);
· protegge il suolo contro l'erosione idrica smorzando l'energia cinetica delle gocce d'acqua e limita enormemente gli effetti delle erosioni laminari o incanalate;
· contrasta gli effetti dei fenomeni gravitativi trattenendo il suolo con una rete efficientissima rappresentata dagli apparati radicali, soprattutto in associazioni con grande ricchezza di specie.
Dal punto di vista chimico le cose sono un po' diverse: a questo livello, rispetto al prima si apprezza, oltre che in quantità, anche un più marcato salto qualitativo dei processi.
Visto che della sostanza organica si è già parlato, ci limitiamo ad un solo esempio e vediamo quanto la presenza dei vegetali riesca ad arricchire i processi di alterazione chimica della roccia madre.
I minerali delle rocce, nella maggioranza dei casi, sono sali di acidi deboli e le soluzioni acide riescono ad alterarli. Ora, le rocce contengono solo quantità limitate di precursori di acidi e, a causa delle modeste quantità di CO2 presente nell'aria, la dissociazione dell'acido carbonico, l'unica vera carta disponibile, fa progredire le reazioni con estrema lentezza. È a questo punto che la flora gioca un ruolo determinante, perché le piante sono una fonte inesauribile di produzione di protoni attraverso vari meccanismi:
· nei processi di assorbimento degli elementi nutritivi la vegetazione assorbe prevalentemente cationi e, per motivi di elettroneutralità, visto che nelle soluzioni le cariche opposte si devono equivalere, deve eliminare ioni dello stesso segno;
· reagendo con i gas e le polveri che le piante possono intrappolare, le precipitazioni sotto chioma (throughfall e stemflow) sono solitamente più acide di quelle all'aperto;
· a causa della respirazione radicale l'aria tellurica è molto più ricca di CO2 (decine di volte) e di conseguenza, anche la dissociazione dell'acido carbonico diventa fonte importante di protoni;
· attraverso i processi biologici viene liberata nel sistema una grande quantità di acidi.
Da ultimo è bene ricordare il ruolo fondamentale svolto dai vegetali nel riciclo degli elementi, all'interno del profilo, con una sorta di meccanismo integrato che coinvolge le rocce con i loro prodotti di alterazione e le piante con la loro capacità di prelievo e di trasporto sulla superficie.

Dalla parte del mondo vegetale
L'ambiente terrestre è variabile e questa variabilità si riflette sulla distribuzione degli organismi. Ogni ecosistema o, generalizzando, ogni serie di ecosistemi è controllata dal clima. Ogni complesso di comunità terrestri di grande vastità caratterizzato da una particolare vegetazione e clima è un bioma.
Ora, se suolo e vegetazione sono un sistema, un esempio perfetto di sistema, allora la distribuzione mondiale dei suoli dovrebbe corrispondere a quella dei principali biomi.
Questa coincidenza, in verità, non è così precisa e puntuale, ma, sicuramente, la relazione è piuttosto stretta. Facciamo qualche esempio.
La foresta pluviale tropicale poggia su superfici dove i processi di alterazione dei minerari e di lisciviazione si sono spinti al massimo grado; i suoli sono poveri, eluviati, acidi con profondi orizzonti cementati (lateriti) a tinte rosso brillanti, tutte le riserve nutritive sono concentrate nella biomassa aerea che, come ritorna al suolo, è rapidamente mineralizzata e immediatamente prelevata dalle radici.
Allontanandoci dall'equatore il clima, durante il corso dell'anno, si fa meno costante (esiste una stagione secca), sebbene le temperature e le precipitazioni siano sempre elevate; nell'emisfero Sud, ma anche nel Sud-Est degli Stati Uniti, le cenosi vegetali sono dominate da latifoglie miste a conifere (non quelle a cui siamo abituati), i suoli, soprattutto su morfologie poco disturbate, presentano i segni di processi pedogenetici lunghi e intensi: sono fortemente lisciviati, predominano le argille e i colori si attestano su una miriade di sfumature accese, dal giallo al rosso. Questi stessi suoli, limitandoci all'Italia, li troviamo, incredibilmente, anche allo sbocco delle nostre valli alpine e questo perché si sono formati in periodi interglaciali più caldi e umidi di oggi, con una vegetazione non molto dissimile da quella della Georgia o della Florida.
Nelle aree desertiche e semidesertiche ritroviamo condizioni abbastanza simili a quelle che precedettero la colonizzazione delle terre emerse; il sistema praticamente non esiste, l'assenza o quasi di vegetazione e di precipitazioni fa si che non si possa quasi parlare di suolo o processi pedogenetici.
Le grandi pianure americane, russe e argentine hanno precipitazioni non molto elevate che permettono sì la crescita di immense cenosi erbacee ma che, nello stesso tempo impediscono una lisciviazione delle basi. La decomposizione dell'abbondante sostanza organica, in presenza di calcio porta alla formazione delle terre nere, suoli soffici, scuri e ricchi di elementi nutritivi.
I podzol si formano sotto copertura di conifere o di ericacee; la loro lettiera acida, difficilmente degradabile e con grande capacità complessante fa si che lungo il profilo del suolo si differenzino orizzonti con caratteristiche diametralmente diverse, sia per colore, sia per caratteristiche chimiche e fisiche. Proprio in questo contesto, come riferiscono alcuni Autori, l'influenza della copertura vegetale e del tipo di humus è così marcata tanto da spingere, in condizioni ambientali caratterizzate da una lunga fase di stabilità, due suoli originatisi su rocce madri con caratteristiche molto dissimili, verso la podzolizzazione, quasi una sorta di convergenza evolutiva.
Naturalmente questi sono solo alcuni esempi. Ma com'erano i suoli al tempo dei dinosauri?
La paleobotanica ci consente di risalire fino ai tempi dello sbarco; i reperti fossili ci permettono di conoscere, a volte in modo frammentario, spesso in modo esaustivo, l'anatomia di quei primi marines che si chiamavano Cooksonia, Rhynia, Zostyerophyllum; sappiamo che subito dopo misero piede a terra Psilophyton, Drepanophycus e anche Protolepidodendron e poi tanti e tanti altri.
Con il suolo le cose vanno in un modo diverso. Il suolo è qualcosa di più fragile; è sufficiente che la natura perda un poco la pazienza e, in un attimo, i risultati di un processo durato a volte migliaia di anni vengono decapitati, sepolti, dispersi, rimaneggiati e la pedogenesi deve ripartire da capo; del corpo complesso che c'era prima non rimane che un insieme di frammenti finiti chissà dove o sepolti a chissà quale profondità.
Chi si aspettava che si venisse, a questo punto, a parlare dei suoli che sostenevano, nutrivano e facevano evolvere le gigantesche foreste di quei tempi ormai remoti, rimarrà deluso, ma, ahimè, non si può fare. Quando siamo molto fortunati troviamo suoli vecchi di poche centinaia di migliaia di anni su forme antiche e stabili del paesaggio e non toccate dalle glaciazioni; sono suoli che si sono evoluti in condizioni climatiche più calde e più umide di quelle attuali ma la variabile che ci interessa, il mondo vegetale, in un tempo così breve, non è sostanzialmente cambiata: le specie hanno migrato verso Nord, Sud, Est e Ovest ma sono rimaste le stesse.
Si può pensare che fino alla fine del Carbonifero, su una terra piatta e acquitrinosa probabilmente esistessero quasi ovunque potentissimi suoli organici e questo, del resto, è confermato dai grandi giacimenti fossili che tutt'ora sfruttiamo.
Durante il dominio ininterrotto di duecento milioni di anni da parte delle Gimnosperme (non pensiate, tra l'altro, ad un mondo abitato solo da alberi o arbusti: ricordiamo nuovamente che la variabilità specifica era molto più elevata di oggi, esistevano specie erbacee, come Glossopteris browniana, o liane, come le Lyginopteridaceae) i podzol occupavano una superficie delle terre emerse che, quasi certamente, eccedeva di parecchio l'attuale 3.9%. Queste sono solo ipotesi; a questo livello possiamo solo fare paragoni, deduzioni e usare un poco di immaginazione, la certezza non esiste.

L'impatto antropico
Abbiamo detto, in precedenza, che i fattori di formazione del suolo sono il tempo, la roccia madre, la morfologia, il clima e gli organismi. Esistono anche fattori aleatori, incontrollati, aventi importanza locale, soggetti alla sorte.
I testi di pedologia spiegano che uno dei fattori aleatori è l'uomo ma, purtroppo, oggi siamo costretti a dissentire. L'uomo, con uno sforzo di pochi decenni, si è promosso a fattore fondamentale, tanto determinante da essere in grado di modificare tutti gli altri fattori.
Limitiamoci alla vegetazione. Abbattere o bruciare la foresta tropicale per fare spazio alle attività agricole danneggia in brevissimo tempo e in modo irreparabile il sistema; suoli capaci di sostenere una biomassa superiore ai 500 m3/ha diventano sterili e facilmente erodibili nello spazio di pochi anni.
I suoli organici (torbiere) pur coprendo solo il 3.3% delle terre emerse, riescono ad immagazzinare più del 22% del carbonio di tutti i suoli del mondo, contribuendo in modo determinante a ridurre la CO2 nell'atmosfera; se drenati si decompongono e si erodono con estrema facilità.
In vaste aree aride o subaride del Medio Oriente e del Nord Africa il sovrapascolamento ha fatto sparire la copertura vegetale e creato aree desertiche.
La deforestazione o l'asportazione della copertura vegetale in genere influenza in modo diretto e drammatico i fenomeni erosivi. Entrando nei dettagli potremmo proseguire all'infinito. Meglio fermarsi!
Diamo solo un'ultima definizione di sistema; le parole sono di Kant, dalla "Critica della Ragion Pura": sistema è l'unità di molteplici conoscenze raccolte sotto un'unica idea. Un'idea può essere illuminata e lungimirante oppure gretta e limitata. Occorre scegliere con saggezza.

   
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