Mont Rose
Un ambiente anomalo, caratterizzato da un paesaggio, un clima e una vegetazione in grado di sorprendere gli stessi conoscitori della Valle d’Aosta.
BASSA VALLE MEDITERRANEA
di LUCIANA PRAMOTTON
Ricercatrice di storia e cultura locale
Fichi d’India a Ronc, frazione di Perloz.La ripida costa che si estende sul versante sinistro orografi co tra Donnas e Pont-Saint-Martin, sconfi nante in alto con il territorio di Perloz, presenta caratteristiche di notevole peculiarità. Lo scenario è decisamente insolito in una regione come la nostra, tipicamente alpina, dominata da pascoli, cascate, ghiacciai e boschi di conifere. Si tratta invero di un ambiente anomalo, caratterizzato da un paesaggio, un clima e una vegetazione in grado di sorprendere gli stessi conoscitori della Valle d’Aosta. Il pendio è ancora oggi, in parte, coltivato a vigneto. In tempi remoti il luogo doveva essere completamente ricoperto di massi e pietraie. In seguito, nell’arco dei secoli, con un lungo e faticoso lavoro che ha impegnato molte generazioni, la costa è stata recuperata attraverso la costruzione di poderose opere murarie: terrapieni, scalinate che in alcuni casi non è esagerato defi nire verticali, terrazze, piloni per il sostegno dei vitigni, ripari e cantine ricavate dagli antri nelle rocce, vasche per la raccolta delle acque e ancora altri manufatti, testimonianze di un’abilità costruttiva di cui oggi si è persa la memoria. Il risultato, grandioso, è sotto gli occhi di tutti, ma pochi ne colgono il valore. Fanno eccezione i rari appassionati che continuano a risalire le scoscese gradinate per raggiungere la loro vigna. “Colosseo della Valle d’Aosta”: in questo modo un viticoltore della zona ha defi nito l’opera ciclopica che ha dato al versante l’aspetto di un’unica, enorme gradinata paragonabile a quella di un anfi teatro romano. L’intera zona è cosparsa di piccoli gruppi di case che, quasi in bilico sulla verticalità della costa, attraggono verso l’alto lo sguardo stupefatto, quasi incredulo, dei turisti di passaggio sulla via Nazionale. A ricordare il diffi cile lavoro di recupero di un terreno così pietroso e scosceso, i toponimi degli agglomerati e dei vigneti richiamano nella radice il termine runcié, che signifi ca bonifi care, togliere dall’incolto. In uno di questi caseggiati si può ammirare una cantina interamente ricavata nella roccia (il tino, scavato in un masso, contiene fi no a 2000 litri di vino). Poco lontano, giace inutilizzata una grande vasca circolare in pietra, usata in passato come lavatoio per i panni. Si racconta che, molti anni fa, quando il villaggio era ancora vivo e abitato, per opporsi alla decisione di spostare la vasca lontano dalle loro case, un gruppo di donne aveva deciso di ricorrere alle maniere forti occupando l’interno della conca, convinte in questo modo di vincere la loro battaglia. Ma furono sconfitte: gli uomini, dopo aver tentato inutilmente di convincerle a tornare alle loro case, riuscirono a sollevare la vasca e a trasportarla con tutto il suo carico nel luogo dove si trova tuttora.
La costa è caratterizzata da un microclima particolare, dovuto ad un insieme di fattori diversi: la felice esposizione al sole, i cui effetti sono intensifi cati dal calore emanato dalle rocce e la posizione riparata che la protegge dai venti freddi e favorisce la circolazione di aria calda.
I vitigni vi trovano le condizioni migliori per prosperare e produrre il rinomato Nebbiolo (chiamato localmente Picotendro), ovvero il Donnas, primo vino valdostano a fregiarsi della denominazione di origine controllata. Un vino prezioso per l’ammirevole lavoro che richiede la coltivazione di un terreno così erto e sassoso, per la fatica che comporta la salita delle ripidissime scale (non a caso, una di queste è chiamata Scala Santa) lungo le quali avvengono i trasporti del letame, dell’acqua nei momenti di maggiore siccità e, fi nalmente, dell’uva nella stagione della vendemmia.
Il microclima è così dolce che nelle zone più calde attecchiscono e hanno vita fl oridissima piante decisamente insolite dalle nostre parti: mimose, oleandri, agavi, fi chi d’India, palme e ulivi centenari, specie vegetali tipicamente mediterranee. A Monte Storto, un abitato da lungo tempo abbandonato, composto di un paio di case costruite a picco su una rupe, vive una vecchia pianta di agave approdata quassù, si dice, dalla Sicilia. Secondo il racconto, un ragazzo del luogo, militare nell’isola, ne portò un esemplare che piantò vicino alla sua casa. L’agave solitamente vive una ventina di anni ma, dopo la prima fi oritura, muore. Forse l’agave di Monte Storto, che a detta della gente del luogo di anni ne conta molti di più, non avendo trovato in Valle le condizioni adatte per fi orire, continua a vivere in attesa del primo fiore.
Oltre il limite dei vigneti, che ricoprono, o, meglio, ricoprivano il versante fi no all’altezza di 700 metri circa, si estende una larga fascia di bosco di castagni selvatici, riserva di legname utilizzata in passato per la costruzione e le riparazioni dei pergolati, dei tini e delle botti.
Il paesaggio dei vigneti tra Donnas e Pont-Saint-Martin.In alto, contro il cielo, si stagliano i picchi della cresta rocciosa che racchiude il suggestivo paesaggio delle terrazze, dei vigneti e della striscia scura della boscaglia. Tra questi picchi hanno il loro nido i falchi che da sempre è possibile osservare mentre sorvolano la zona con lunghi giri circolari. Ultimamente al volo dei falchi si è aggiunto quello dell’aquila. Lo spazio occupato dai vigneti si sta gradualmente riducendo, sterpaglie e rovi invadono a macchia il versante, la boscaglia tende a scendere e ad espandersi tra i terrazzamenti e le vigne, sui sentieri e sulle gradinate abbandonate cresce il fi co d’India. L’inselvatichirsi generale dell’ambiente ha provocato anche la calata dei cinghiali, ma la novità più sorprendente è che di recente è stato avvistato, tra i vigneti, un vecchio camoscio.
   
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